Accogliere, dialogare, dare speranza, promuovere la “cultura dell’incontro”, ma soprattutto sognare. Su questi imperativi si è basato il breve ma intenso incontro del Papa con la gioventù de L’Avana nel centro culturale dedicato a Felix Varela, il filosofo che tutti i cubani, senza eccezione, riconoscono come “padre spirituale della Patria”, ricordandolo come “colui che ci insegnò a pensare”.
Francesco – al suo ultimo appuntamento della prima giornata cubana – entra subito in sintonia con i giovani dell’isola. Giovani normali, che prendono i mezzi di trasporto per andare all’università, che vivono una vita frenetica e spesso problemi profondi “che a volte ci portano a perdere la fede”, come ha sottolineato Leonardo, rappresentante dei numerosi ragazzi presenti, nel suo indirizzo di saluto.
Giovani che, tuttavia, sanno come superarle queste avversità e sanno come tirare avanti e crescere nonostante la “difficile realtà socio-economica che ci tocca vivere”. Il riferimento è indubbiamente al bloqueo, l’embargo imposto dagli Usa, che da circa mezzo secolo tarpa le ali di migliaia di generazioni e grava sull’economia locale.
Giovani di fede, questi radunati davanti al Papa, non necessariamente cattolica, ma di religioni “diverse e plurali”: praticanti di religioni afro-cubane, fedeli di credi “non istituzionalizzati”, o anche non credenti. Tutti legati da qualcosa che va al di là della differenza di pensiero, di religione, di ideologia, ovvero “la speranza per un futuro di profondo cambiamento” in cui Cuba possa tornare ad essere “una casa per tutti i suoi figli”.
Parole toccanti e sincere, davanti alle quali Bergoglio cestina il discorso preparato e risponde a braccio per circa mezz’ora con la medesima spontaneità, esortando a non scoraggiarsi e a continuare a sognare. “Anche se pensate in modo diverso, giovani cubani, voglio che camminiate insieme, cercando la speranza, il futuro e la nobiltà del paese”, dice.
Cita poi una celebre espressione di uno scrittore latino-americano che diceva: “Dio ci ha dato due occhi, uno di carne e uno di vetro. Con l’occhio di carne, vediamo ciò che guardiamo; con l’occhio di vetro, vediamo ciò che sogniamo”.
In questo ‘sogno’ giovanile c’è il lavoro, nel quale “si genera la speranza”. “Qui – sottolinea il Santo Padre – faccio riferimento a un problema molto grave in Europa, la grande quantità di giovani che non hanno lavoro… Ci sono paesi in Europa dove i giovani sotto i 25 anni vivono disoccupati per percentuali del 40%, del 47%, in un altro paese del 50%”. Una emergenza gravissima, a detta del Papa, perché “un popolo che non si preoccupa di dare lavoro ai giovani – un popolo, e non dico governo, ma tutto il popolo – non ha futuro”.
Senza andare troppo lontano, con questa piaga della disoccupazione i giovani finiscono macinati nel vortice della “cultura dello scarto”, ovvero – spiega Francesco – quella cultura basata sull’“impero del dio denaro”, per cui “si scartano le cose e si scartano le persone: si scartano i ragazzi perché non li vogliamo più, o anche prima di nascere, si scartano gli anziani perché non producono più, in alcuni paesi c’è l’eutanasia”.
Ed una “eutanasia nascosta, mascherata” è proprio la mancanza di lavoro, evidenzia il Papa. “Si scartano i giovani perché non hanno lavoro. E che cosa fa un popolo senza lavoro? A questi giovani non rimane che il suicidio, o cercare eserciti di distruzione per fare guerre”. “Questa cultura dello scarto ci sta facendo male a tutti. Ci toglie la speranza!”, soggiunge.
Punta il dito poi contro un altro grave male che pure distrugge: “L’inimicizia sociale”. “Una famiglia si distrugge per l’inimicizia – afferma -. L’inimicizia sociale distrugge. E oggi il mondo si distrugge per la guerra perché si è incapaci di parlare. Negoziamo e vediamo su cosa accordarci. Quando c’è divisione, c’è morte”. La morte, non solo fisica, ma anche quella dell’anima “perché stiamo uccidendo la capacità di unire”.
Allora “cosa fare?”, domanda il Pontefice. “Ma… non uccidiamo più persone! Quando c’è divisione c’è la morte. C’è la morte nell’anima. Dobbiamo negoziare”, risponde, esortando ancora le nuove generazioni ad “allontanare l’inimicizia sociale”. In che modo? Mantenendo pensieri e sentimenti distinti, ma parlandone, non litigando. “Se voi pensate diverso da me perché non parliamo? Perché puntiamo lo sguardo sempre su ciò che ci separa, sulle nostre differenze e non vediamo ciò che abbiamo in comune?”, sottolinea Francesco. “Noi – aggiunge – spesso siamo chiusi. Ci sono piccoli gruppetti di parola e preghiera: quando ho il mio modo di pensare, mi chiudo nel gruppo dell’ideologia”. Ma “quando una religione diventa un convento perde la sua realtà di adorare e credere in Dio”.
“A Buenos Aires – racconta – c ‘era una parrocchia nuova in una zona povera, il parroco mi ha chiesto di andare a conoscere i giovani che costruivano i locali parrocchiali. Sono arrivato e li ho conosciuti: c’era un architetto ebreo, un comunista, un cattolico… Tutti diversi ma tutti lavoravano insieme per il bene comune. Questa è amicizia sociale, cercare il bene comune!”.
Dunque, “servono menti e cuori aperti. Non ci tiriamo le pietre su quanto ci separa, diamoci la mano – incoraggia Francesco – serve il coraggio di parlare di quello che abbiamo in comune. E poi possiamo parlare anche delle nostre differenze: parlare, non litigare, non chiuderci in un gruppetto. Dobbiamo lavorare insieme”.
Insieme dobbiamo pure “sognare”. Sognare di poter compiere tutto questo, di riuscire a realizzare un futuro di dialogo e pace. “Nell’obiettività della vita occorre sognare”, evidenzia il Papa, anche perché “un giovane che non è in grado di sognare è chiuso in se stesso, è prigioniero”. Ci sono giovani che per questo motivo “a 20 anni sono già in pensione”. “Un giovane senza speranza, un giovane ‘pensionato’, ha tristezza esistenziale punta la vita sulla sconfitta di base, si lamenta e scappa dalla vita…”.
“Sogna, desidera, apriti alle cose grandi”, è dunque l’invito di Bergoglio di wojtyliana memoria. “Noi argentini – prosegue – diciamo ‘non ti ripiegare’, apriti e sogna che il mondo con voi può essere diverso. Sogna perché se mettete il meglio di voi cambierete il mondo. Non dimenticate, sognate poi magari potreste sognare troppo, ma non fa niente… Sognate e raccontate i vostri sogni. Parlate delle cose che desiderate, più sognate in grande e più strada avrete percorso”.
La strada è quella da sempre predicata della “cultura dell’incontro”. “Andiamo avanti insieme, ‘accompagnati’”, rimarca il Papa, perché “c’è la dolce speranza della patria a cui vogliamo arrivare”. Le ultime parole sono, infine, una nota di affetto velata da ironia: “Vi auguro il meglio – dice Bergoglio – pregherò per voi e voi pregate per me. E se qualcuno non è credente e non può pregare perché non è credente, almeno mi auguri cose buone”.