Adam and Eve temptation

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Se la fede è (anche) donna

Con le sue parole sul luogo comune della donna tentatrice da sfatare, papa Francesco ha completato mercoledì un percorso iniziato da san Giovanni Paolo II e, prima ancora, da papa Luciani

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«Esistono molti luoghi comuni, a volte persino offensivi, sulla donna tentatrice che ispira al male. Invece c’è spazio per una teologia della donna che sia all’altezza della benedizione di Dio per lei».

Nell’udienza del mercoledì le parole di papa Francesco sono state come un colpo di vento capace di far volare pregiudizi antichi come l’umanità. Quelli per i quali la femminilità coincide tout court con la tentazione: basta essere donna per essere, automaticamente, una tentatrice (dunque incarnazione del demonio), con la sua femminilità che viene trasformata da virtù in insidia.

Anche nella Chiesa questa concezione è stata presente a lungo e papa Francesco ha chiuso una pagina che non doveva neppure essere scritta ed ha completato un percorso iniziato da san Giovanni Paolo II con la lettera apostolica Mulierem dignitatis e, prima ancora, da papa Luciani, che sbalordì un po’ tutti all’Angelus del 10 settembre 1978 quando affermò: «Anche noi che siamo qui abbiamo gli stessi sentimenti; noi siamo oggetti da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. È papà; più ancora è madre. Non vuol farci del male; vuol farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se per caso sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma. E anche noi se per caso siamo malati di cattiveria, fuori di strada, abbiamo un titolo di più per essere amati dal Signore».

Insomma, il male e il bene non hanno sesso, o “genere” come usa dire adesso. Si può essere donna e coltivare la fede molto più di un uomo che osserva in modo meramente esteriore e formale i precetti e i comandamenti della Legge; molto più di chi si limita a praticare le devozioni popolari, le processioni e i pellegrinaggi o coltiva un cristianesimo fatto sì di riti e di culto, ma senz’anima, senza vita, senza vangelo. Per questo nelle riflessioni di questi tre Pontefici il punto centrale è la figura femminile, emblema della profondità dell’amore che proviene dal cuore stesso di Dio. Del resto è  radicato in una donna, Maria, il kerygma dell’amore cristiano, che coinvolge creato ed esseri viventi: chi lo coltiva mostra di nutrire la vera fede, quindi è salvo e può andare in pace. «Cristo, nato da donna, da una donna. È la carezza di Dio sulle nostre piaghe, sui nostri sbagli, sui nostri peccati», ha aggiunto Papa Bergoglio, certo non a caso: Cristo, in un’epoca in cui si consideravano apertamente inaffidabili le discendenti della stirpe di Eva, era venuto alla luce dal grembo di una donna, dopo il semplice sì di Maria a custodire un Dio destinato a farsi bambino e quindi uomo. Per i dottori e i saggi del tempo una follia, come folle d’altra parte è per molti versi l’autentico annuncio cristiano, fondato su una pazzia di nome amore. Quella che, scrive il teologo Ermes Ronchi, «non da una spiegazione dell’universo, non è la giustificazione della storia, non fa sorgere scienziati e filosofi, ma fa ben di più. Non giustifica, ma fa vivere; non spiega, ma guarisce. E chi gusta l’amore, anche se morto, può nascere».

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Vincenzo Bertolone

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