Riflessioni poetiche sull’edonismo contemporaneo

Nell’opera in versi di Massimo Pacetti il crudo ritratto di una civiltà in crisi

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“La bellezza è mercato. È una merce a disposizione, ostentata dai potenti, utilizzata nell’immagine… E il mondo è più brutto. È il trionfo del brutto.”

Con queste provocatorie parole si apre il volume di liriche Lo spirito del tempo tra musical e manga (sottotitolo: Forme, immagini, pensieri di donne e uomini rovesciati) di Massimo Pacetti, poeta originale ed attento alle contraddittorie dinamiche del nostro tempo.

Il concetto è di forte evidenza: a furia d’inseguirla, la bellezza (di vagheggiarla, anelarla, concupirla, sognarla…), di rappresentarla in oggetti, e dunque in milioni di cloni, abbiamo finito per vanificarne l’essenza, ch’è fatta d’una sostanza impalpabile aliena da ogni forma di mercificazione.

È facile cogliere l’analogia con un’altra rappresentazione concettuale fra le più note e citate del secolo scorso: “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” di Walter Benjamin, dove anche l’arte, che della bellezza costituisce il medium, perde la sua aura sacrale per essere immolata ai rituali della società di massa.

Secondo Pacetti, il dramma del nostro tempo è tutto qui: nella impossibilità di possedere la bellezza. Da cui scaturisce, forse, quella sensazione così largamente diffusa che il mondo sia divenuto un luogo più triste, arido, minaccioso, e che le nostre prospettive esistenziali siano come prigioniere di un Fotomontaggio privo di vita:

FOTOMONTAGGIO

Le labbra velate
di rosa socchiuse.
Lo sguardo grigio
quasi strabico sperduto
in spazi assenti.
Il sorriso è
un accenno impercettibile
nel fotomontaggio
delle labbra.
Cadavere da copertina;
vaghezza di una
diva sopra un
panno nero.

*

Di questa materia magmatica s’impadronisce Pacetti non per tentare un’ennesima disquisizione sociologica sullo sviluppo e declino della società di massa, ma per costruire un suo originale percorso creativo. Nelle sue “riflessioni poetiche” sull’edonismo contemporaneo, non esita a lasciarsi contaminare dai termini in voga del linguaggio corrente per avvalersene come originali “mattoni” delle sue complesse elaborazioni liriche. Fino a svelarci un imprevedibile paradosso: se la bellezza, riprodotta in oggetti, si rivela incapace di svolgere la sua fondamentale funzione estetica, quegli stessi oggetti, tradotti in poesia, possono tornare a creare una nuova percezione di bellezza.

Una poetica, quella di Massimo Pacetti, che in qualche modo fa emergere la situazione contraddittoria in cui versa la poesia contemporanea. Dove, al di là dell’apparente (e da più parti teorizzata) afasia della parola, è possibile intuire nuove linee di tendenza – ed una conseguente e parallela intensità di ricerca – che chiedono solo d’essere portate alla luce.

Se in superficie sono assenti quegli elementi di visibilità che hanno caratterizzato certi grandi “terremoti” artistici e letterari del XX secolo (il Futurismo valga per tutti), ciò non significa che nelle “viscere” del pensiero collettivo non stiano maturando i termini di una nuova visione.

Senza queste premesse non si può comprendere appieno il libro di Pacetti, che reinterpreta le mitologie sociologiche e culturali del secondo Novecento e le “attualizza” con una originalità d’approccio e, talora, con una crudezza di linguaggio, che costituiscono la vera forza della sua poesia.

NATURA MORTA

Gettati alla rinfusa
su un letto borse scarpe occhiali
foulard…
Una coperta colorata vivace
collana e orologio
preziosi oro bianco!
Una scarpa e i
biglietti dell’aereo
in partenza: una vacanza
…o forse
una fuga…
Oggetti: inerti abbandonati
inutili nature morte.

*

La realtà si è scarnificata in oggetti. Oggetti di consumo, oggetti opprimenti… “oggetti viventi”, verrebbe da dire. Oggetti che ci contendono la vita, ci affaticano il respiro, c’inibiscono la bellezza, invadendo continuamente la nostra sfera emotiva.

Contro questa “dittatura” degli oggetti si erge la parola del poeta, per rappresentare un travaglio di natura esistenziale che mette a nudo la drammatica inconsistenza di ideologie e Fantasmi culturali giunti al loro capolinea storico:

FANTASMI

Quest’anno tutti si
vestono di bianco:
come gli angeli.
Ma non siamo
più buoni: la
guerra e la violenza
ci hanno sopraffatto.
Forse vorremmo essere
come i fantasmi
scomparire agli occhi
del mondo
e riapparire nei
giorni di luce.

*

Sia pure velato da un filtro di ironia (un’ironia non ironica, ma profondamente seria), s’intuisce in Pacetti un sentimento d’empatia per il destino del mondo, e quegli oggetti simulacri dell’effimero si connotano di un senso di umanità dolente.

L’ATTESA

Gli uomini sono
scomparsi
aliene forme umane: nient’altro.
Ridicoli e sporchi
malvestiti e in
disordine
vivono in stanze
ricolme di
oggetti inutili;
sparsi in ogni angolo.
Irreversibilmente tristi.
Uno di loro guarda
mesto davanti a sé
tiene le mani in
tasca e il ventre
gli gonfia la maglietta
sgualcita.
Tutti sembrano
aspettare qualcosa
sconsolati nell’ozio
più totale
quasi irreale.
La cuffia all’orecchio
per ascoltare suoni…
Nell’attesa…

*

Massimo Pacetti appartiene, a nostro avviso, a quel significativo novero di autori emergenti (indipendentemente dall’appartenenza generazionale) che perseguono una ricerca consapevole di quella che può essere una rinnovata funzione della poesia, come strumento di ricognizione e verifica dei sommovimenti profondi che percorrono la nostra epoca. Una poesia restituita alla sua alta funzione di testimone ed interprete dello “spirito del tempo”. Per riscattare, attraverso la libera creazione del pensiero, l’uomo contemporaneo “in fuga dal tempo, dalle responsabilità e dalla storia”, come scrisse, con sintesi profetica, un geniale autore letterario: Eugenio Montale.

***

I poeti interessati a pubblicare le loro opere nella rubrica di poesia di ZENIT, possono inviare i testi all’indirizzo email: poesia@zenit.org

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Le opere da pubblicare saranno scelte a cura della Redazione, privilegiando la qualità espressiva e la coerenza con la linea editoriale della testata.

Inviando le loro opere alla Redazione di Zenit, gli autori acconsentono implicitamente alla pubblicazione sulla testata senza nulla a pretendere a titolo di diritto d’autore.

Qualora i componimenti poetici fossero troppo lunghi per l’integrale pubblicazione, ZENIT si riserva di pubblicarne un estratto.

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Massimo Nardi

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