Profughi in Vaticano. L'immigrazione nel magistero di Pio XII e Benedetto XVI

La Exsul familia di Pacelli e i discorsi di Ratzinger: una chiave per comprendere il punto di vista della Santa Sede sul fenomeno migratorio

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Con un comunicato ufficiale l’Elemosineria Apostolica questa mattina ha informato che nella parrocchia di Sant’Anna, in Vaticano, è arrivata una famiglia di profughi siriani. Madre, padre e due figli sono ora ospitati in un appartamento vaticano, come richiesto da Papa Francesco nell’Angelus del 6 settembre, in cui esortava parrocchie, comunità religiose, monasteri e santuari di tutta Europa ad accogliere i rifugiati. 

Un invito, questo, che ha riportato alla memoria di molti fedeli e commentatori le parole pronunziate dai suoi Predecessori riguardo l’accoglienza e l’immigrazione, in particolare l’accorato appello di Papa Pio XII il quale molto ha fatto, negli anni del secondo conflitto mondiale in cui imperversava la furia delle persecuzioni razziali, politiche e religiose, per offrire ai perseguitati il caloroso soccorso paterno della Chiesa. «Vorremmo poter liberare tutti da ogni timore, per donare a tutti la pace, per riempire tutti di gaudio», recita l’Intenzione di preghiera composta in occasione della Pasqua del 1957 da Papa Pacelli.
 
Nel marzo del 1946 Pio XII trattava la questione dell’immigrazione rivolgendo un breve discorso al sign. Ugo Carusi, del Dipartimento della giustizia degli Stati Uniti, Commissario per l’immigrazione, e al sign. Howard R. Travers, del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, nel quale Sua Santità precisava che in un momento storico come quello che si viveva negli anni difficili del primo ‘900, in cui l’America aveva offerto un generoso ed ospitale asilo a genti di altre terre, oppresse dalla tirannia o forzata dalla povertà o persecuzione religiosa a cercare la salvezza nell’esilio, era necessario tenere presente “non solo l’interesse dell’immigrato, ma anche il benessere della nazione”. 
 
“Tuttavia”, osservava Papa Pacelli, “non è esagerato – ne siamo certi – se Ci ripromettiamo che nel processo della restrizione, non sarà dimenticata la cristiana carità e la solidarietà umana esistente tra gli uomini, figli tutti di un unico Dio ed eterno Padre. L’immigrazione può portare il suo contributo nella soluzione di uno dei più gravi problemi dell’Europa, problema che è stato aggravato dalla inumana deportazione forzata di popolazioni inermi ed innocenti”. 
 
D’altra parte, proprio Pio XII è stato autore del primo documento pontificio sulla cura degli immigrati: si tratta del costituzione apostolica Exsul familia, del 1952, con cui si davano istruzioni in materia di assistenza spirituale dei migranti. Gran parte del documento riguarda l’emigrazione italiana che era un fenomeno piuttosto rilevante in quel tempo (secondo i dati statistici che si conservano nel 1952 c’erano circa 20 milioni di italiani emigrati all’estero). 
 
Il lungo, difficoltoso e storico fenomeno dell’emigrazione italiana secondo molti ha aiutato la Chiesa, in tutte le aree del mondo, a prendere coscienza di un fenomeno planetario e a intraprendere specifiche attività per l’assistenza di tutte le persone “in movimento”, e proprio in questo il documento pontificio (pacelliano) oggi continua a offrire alla Chiesa un saldo punto di riferimento. Questo è stato spiegato da Benedetto XVI nel corso dell’Udienza concessa ai partecipanti al VI Congresso Mondiale della Pastorale per i Migranti e i Rifugiati, tenutosi a Roma nel 2009: “In effetti – osservava  Ratzinger – se il fenomeno migratorio è antico quanto la storia dell’umanità, esso non ha mai avuto la grande importanza di oggi, a causa del numero e della complessità dei suoi problemi. Esso colpisce ormai quasi tutti i paesi del mondo ed è parte del vasto processo della globalizzazione”.
 
Vero è che nella situazione attuale globale, caratterizzata grandemente da una diversità culturale, politica, economica, religiosa e sociale, il fenomeno migratorio esorta non solo i singoli Paesi, ma anche la comunità internazionale a chiedersi: che tipo di mondo stiamo costruendo? e obbedendo a quali valori? Anche le Chiese locali sono interpellate a porsi le stesse domande: che tipo di Chiesa stiamo costruendo? e secondo quali modalità? Dal punto di vista cristiano, questo richiede non tanto l’uso di meccanismi di difesa nei confronti di altre religioni o culture, quanto piuttosto l’assunzione di nuove reti di solidarietà contro l’esclusione e la miseria, con la promozione di un vero spirito di dialogo e di arricchimento reciproco che sgorga dall’incontro delle culture, e al quale in vista del prossimo Giubileo della Misericordia Papa Francesco fa appello costantemente.
 
A queste domande riguardanti la cura pastorale dei migranti, che vedono la loro riflessione nella Costituzione Exsul familia del 1952, e che sono passate per il magistero dei Papi della seconda metà del 900, ha fornito una degna risposta Papa Francesco, il quale in ogni suo appello esorta la Comunità internazionale a una piena collaborazione e a instaurare un dialogo fattivo con le Chiese locali che hanno l’opportunità non solo di condividere principi e progetti, ma anche di imparare nuove opportunità di strutturare la pastorale migratoria per fronteggiare la grave crisi umanitaria dei nostri giorni.
 
Inoltre, se l’Italia che, sessant’anni fa, veniva proposta da Pio XII come riferimento per l’organizzazione della cura pastorale dei migranti, era un Paese di emigrazione, quella di oggi è un concentrato di immigrazione. Mentre in passato erano infatti i cittadini italiani a ricercare una nuova speranza di vita partendo verso altri paesi, oggi invece migliaia di migranti chiedono di essere accolti entro i confini nazionali, cercando di oltrepassare la frontiera, e questa è una sfida e un “segno dei tempi” per i governanti del Paese – e per la Comunità Europea – così come lo è per la Chiesa che continua a cercare modelli nuovi e più appropriati (a un mondo fortemente globalizzato) di pastorale migratoria.
 
[Tratto dal blog: Dentro le Mura]

 

 
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Alessandro Notarnicola

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