In relazione al viaggio apostolico di Papa Francesco a Cuba, abbiamo intervistato Ofelia Acevedo, vedova del leader cattolico cubano Oswaldo Payá, fondatore nel 1987 del Movimiento Cristiano de Liberacion, morto in un incidente d’auto molto sospetto il 22 luglio del 2012 a oltre 700 km da L’Avana, nei pressi della città di Bayamo. Il nome di Oswaldo Payá è legato anche al Proyecto Varela per l’ottenimento delle libertà fondamentali e del diritto del popolo cubano a decidere del proprio futuro tramite un referendum: le oltre 10mila firme necessarie furono consegnate al Parlamento cubano nel 2002 e se ne aggiunsero altre 14mila nel dicembre 2003, a dispetto della repressione attuata dal Governo castrista. Ofelia Acevedo nel giugno 2013 è dovuta espatriare a Miami con la famiglia, a causa delle continue minacce poliziesche che rendevano ormai insostenibile la sua vita quotidiana sull’isola.
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Signora Ofelia, quale la sua reazione, quali i suoi sentimenti quando è stata annunciata la visita di Papa Francesco a Cuba?
Quando l’ho saputo la mia prima reazione è stata di sorpresa, poi di allegria. Sorpresa, poiché tre visite di Papi in 17 anni a una stessa Chiesa sono un privilegio. Allegria, perché Papa Francesco si è identificato particolarmente con i poveri, gli esclusi, i perseguitati. E tali categorie costituiscono la maggioranza del mio popolo. Esse stanno attendendo il messaggio di incoraggiamento e di speranza di Papa Francesco, che le stimolerà ad alzarsi e incamminarsi lungo la via, a essere protagoniste della loro storia, trovando la forza per farlo in Gesù Cristo, il grande restauratore della piena dignità dell’uomo.
Dopo l’annuncio della visita papale, c’è stato qualche cambiamento positivo per il popolo cubano? Oggi c’è maggiore libertà religiosa nell’isola?
Dopo l’annuncio della visita e fin qui non si è prodotto nessun cambiamento positivo per il popolo cubano. La mancanza di libertà mantiene i cubani immersi nella povertà, oltre alla situazione di ingiustizia per l’assenza di diritti che ha provocato danni immensi. La situazione al momento è la stessa. A Cuba non c’è libertà religiosa. C’è l’Ufficio degli Affari religiosi del Comitato centrale del Partito comunista (l’unico partito politici riconosciuto a Cuba), legato alla Sicurezza dello Stato (la Seguridad), che si incarica di monitorare, intervenire, confiscare, perquisire, convincere e minacciare ogni membro della Chiesa le cui opinioni o comportamenti dispiacciano al governo dei Castro. Costoro hanno la competenza e il permesso di intervenire e controllare in qualsiasi momento qualsiasi aspetto della vita ecclesiale a Cuba che non soddisfi il Governo. La Chiesa inoltre non ha accesso ai mass-media, le famiglie non possono scegliere una educazione cristiana per i figli, perché non esiste. L’attuale dirigente dell’Ufficio degli Affari religiosi del Partito comunista ha chiarito, in vista della prossima visita del Papa, che l’educazione religiosa è stata eliminata dalla Rivoluzione.
Le visite precedenti di Papa Wojtyla e di Papa Ratzinger portarono a conseguenze positive per la Chiesa cubana?
Le visite papali precedenti del 1998 e del 2012, anche se diverse per molti aspetti, hanno costituito un segno importante di fraternità con la Chiesa che è pellegrina in Cuba. Tanto i messaggi di san Giovanni Paolo II che di Benedetto XVI furono accolti con gratitudine infinita dai cubani che poterono ascoltarli. La gerarchia della Chiesa in Cubavanta conseguenze positive per il fatto che il Governo dopo le visite ha permesso la venuta a Cuba di alcuni sacerdoti e l’acquisizione di determinati mezzi tecnici e di automobili necessari per il lavoro pastorale della Chiesa. Oppure la riconsegna di vecchi immobili che erano chiese e scuole, confiscate alla Chiesa durante i primi anni del Governo castrista quando erano mantenute perfettamente, con tutte le risorse necessarie; furono però riconsegnate vuote e in rovina o totalmente distrutte. Non conosco altre conseguenze positive visibili.
Il Governo ha annunciato che per la visita di Papa Francesco saranno amnistiati 3522 prigionieri. Anche prigionieri politici?
Il Governo ha annunciato l’indulto per più di 3500 prigionieri, ma fin qui tra loro non c’è nessun prigioniero politico e fin qui nemmeno si è concretizzata nessuna amnistia per nessun prigioniero. Il Governo dei Castro utilizza le persone come monete di scambio. Di solito, quando libera prigionieri, li scarcera con la condizionale o li espelle dal Paese.
Signora Ofelia, lei il 14 maggio è stata ricevuta in udienza con i suoi figli da Francesco. Pensa che il Papa sia ben informato sull’odierna situazione a Cuba?
La mia famiglia e io abbiamo avuto l’onore e la benedizione di essere ricevuti da Sua Santità Papa Francesco in udienza privata. Con lui abbiamo parlato delle condizioni penose in cui vive l’immensa maggioranza dei cubani, abbiamo parlato della Chiesa pellegrina in Cuba di cui facciamo parte e che amiamo intimamente. Anche dell’attentato del 22 luglio 2012 all’automobile in cui viaggiava mio marito, ad opera di agenti della Seguridad dello Stato. L’attentato provocò la morte di mio marito Oswaldo Payá e quella del giovane Harold Cepero. Abbiamo detto al Papa della nostra intenzione di promuovere un’indagine indipendente per chiarire le vere circostanze dell’accaduto. Credo che Francesco conosca la situazione reale in cui vivono i cubani: è ben informato e si è riferito in varie occasioni alle sofferenze del popolo cubano.
Se suo marito Oswaldo Payá, leader del Movimiento Cristiano de Liberacion, fosse ancora vivo, che cosa avrebbe cercato di dire al Papa?
Difficilmente mio marito avrebbe avuto l’opportunità di giungere vicino al Papa durante la visita. Nelle due occasioni precedenti aveva chiesto alle autorità ecclesiali di poter incontrare Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ma non fu mai possibile. Presumiamo che sarebbe stato un qualcosa che per il Governo cubano era chiaro non potesse succedere. Sono sicura che se Oswaldo avesse potuto parlare al Papa non gli avrebbe posto nessuna domanda, ma gli avrebbe detto: “Vorrei ascoltare la Sua parola con un cuore aperto e pieno di speranza”.
C’è qualche novità a livello cubano o internazionale sulla morte di suo marito (e di Harold Cepero, leader giovanile del Movimiento Cristiano de Liberacion)?
Ancor prima di apprendere che mio marito era morto, il mondo sapeva che quanto accaduto era stato provocato, dopo che i sopravvissuti avevano inviato messaggi di aiuto che furono pubblicati e in cui dicevano che erano circondati da militari e che erano stati buttati fuori dalla carreggiata da un’altra automobile. Il fatto nuovo in questa vicenda è il primo rapporto legale sopra il caso: è stato reso pubblico dall’équipe giuridica di Human Right Foundation nel terzo anniversario dell’attentato, due mesi fa presso l’Università di Georgetown a Washington DC. Il rapporto elenca tutte le violazioni fin qui provate in cui sono incorse le autorità cubane e conclude che quanto accaduto non fu un semplice incidente. Purtroppo invece non è nuova l’ostilità manifestata dalla nuova Ambasciata cubana a Washington, che ha rifiutato di ricevere la lettera che ho scritto al Ministero della Salute pubblica di Cuba chiedendo la relazione dell’autopsia fatta a mio marito Oswaldo Payá. Quando mia figlia Rosa Maria, lo scorso 21 luglio, cercò di consegnare la carta all’Ambasciata di Cuba a Washington, il personale non la lasciò entrare, neppure accettò la lettera e chiamò la polizi
a. Questa è la risposta data dai rappresentanti del Governo cubano. Io voglio solo sapere quali furono le lesioni che provocarono la morte di mio marito: ne ho il diritto.
[Fonte: RossoPorpora]