Ci sono luoghi nel mondo dove le opere di carità sono di una tale intensità da muovere a commozione. Non solo le persone sofferenti trovano accoglienza, ristoro, conforto, ma tutti coloro che entrano in contatto con queste realtà scoprono la capacità della misericordia di Dio. È ciò che si prova entrando nella casa “Hogar Nino Dios”, una delle opere di carità che i cristiani svolgono a Betlemme.
La casa è stata visitata lo scorso, martedì 15 settembre, dai vescovi partecipanti alla plenaria del Ccee. Ad accoglierli suor Maria Pia, superiora della Comunità che ha ricordato le origini della struttura, nata all’inizio della seconda Intifada, dalla constatazione da parte delle consorelle e dei confratelli della Famiglia Religiosa del Verbo Incarnato dell’urgenza di fondare una casa per accogliere bambini malati, disabili, abbandonati, poveri.
La necessità è grande anche perché il tipo cultura, come pure le cattive condizioni economiche, portano a considerare la nascita di figli con handicap o con problemi fisici e psicologici come un grave disonore. Ed è in questo contesto di povertà, violenza e tensione, dove i bambini malati spesso non vengono riconosciuti e rischiano di venire abbandonati, che hanno deciso di intervenire le cinque suore: tre argentine, una peruviana e un’egiziana.
Nasce così la casa “Hogar Nino Dios”, un luogo allegro, dove i bimbi giocano, ridono, interagiscono tra loro, ricevono attenzione. Una realtà che stupisce, perché raccoglie diversi ‘casi’: sette bambini sulla sedie a rotelle, altri hanno la sindrome di Down, oppure sono autistici, iperattivi, disabili gravi. Un piccolo “Cottolengo”, insomme, con le suore e il cappellano, padre Gabriele Romanelli, che con pazienza infinita e grande affetto, soccorrono, curano, educano, e soprattutto amano i piccoli ospiti. In totale, questi, sono attualmente 25; ognuno di loro gode di un’attenzione particolare, in base ai problemi fisici ma anche educativi e affettivi.
La casa offre infatti ad ogni bambino un programma di fisioterapia, idroterapia e musicoterapia. Quest’ultimo corso è svolto da un giovane armeno. Dei 25 bambini 17 sono musulmani e alcuni medici che visitano e curano i bambini sono ebrei. C’è quindi anche uno spirito ecumenico nella casa “Hogar Nino Dios” che porta ad accogliere tutti, indipendentemente dalla differenze religiose e di etnia. Ad aiutare la comunità c’è anche una giovane italiana, Annamaria, studentessa universitaria alla Facoltà di Relazioni internazionali, che ha deciso di svolgere attività di volontariato nella struttura fino ad ottobre.
La casa non riceve aiuti pubblici e tutte le spese vengono coperte dalla provvidenza, cioè della carità di tanti benefattori locali e internazionali. Dopo averla visita, monsignor Mario Grech, vescovo di Gozo (Malta), con gli occhi lucidi, ha commentato “Questo è il cristianesimo… il lavoro di queste persone è un’opera di misericordia che porta sollievo ai bambini e che salva anche noi”.
Effettivamente osservando certe scene in queste quattro mura, tornano in mente le Parole del Vangelo di Matteo (25,40), quando il Signore dice: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero senza casa e mi avete ospitato, ero ignudo e mi avete rivestito, ero infermo e mi avete curato, ero carcerato e mi avete visitato. In verità vi dico che ogni qual volta faceste tali cose al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me stesso”.
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Per ogni informazione e per aiutare la casa “Hogar nino Dios” cliccare su www.hogarninodios.org/?page_id=3012