Nei secoli, ed ancora oggi, molti non capiscono perché i cristiani esaltano quella Croce dove l’uomo che Gesù morì crocifisso. Sembra paradossale vedere nell’atroce condanna a morte di Cristo un atto di misericordia. Eppure già dai primi secoli i seguaci di Cristo hanno letto in quel sacrificio e nella resurrezione il segno che Dio è amore, ci libera dal male ed anche dalla morte del corpo.
Il senso di questa “croce vittoriosa” lo ha spiegato mons. Youssef Soueif, arcivescovo di Nicosia e presidente di Caritas Cipro, nel corso dell’omelia della Messa domenicale che si è svolta alla Domus Galileae, sul Lago di Tiberiade, di fronte ai presidenti delle Conferenze Episcopali europee, riuniti in Assemblea Plenaria.
Nella domenica in cui la Chiesa maronita, nella sua liturgia siro-antiochena, conclude il periodo di Pentecoste per entrare con la festa dell’Esaltazione della Santa Croce in un nuovo tempo liturgico, monsignor Soueif ha preso spunto dalla parabola del buon samaritano per sostenere che “Dio vuole misericordia”. Secondo la logica umana, ha spiegato, il samaritano non doveva fare quello che ha fatto, poteva andare oltre; invece si è chinato sulla persona derubata e malmenata, dicendogli: “Io sono qui, non aver paura, sono accanto a te per servirti e sentirmi libero”.
Il Buon samaritano “vive nella bontà di Dio e nella Sua misericordia, e s’inchina davanti alle ferite di colui che le nostre categorie, il nostro egoismo e i nostri peccati, considerano come ‘nemico’”. In questo gesto, mons. Soueif vede gli uomini e le donne rinate dalla croce che fu piantata in Terra Santa e nella parabola del Buon samaritano, c’è tutta la missione della Chiesa di Gerusalemme e delle Chiese del Medio Oriente per dire: “Noi siamo con voi e con voi diamo la mano a ogni ferito e sofferente, a questa terra che aspetta la pace”.
L’arcivescovo ha invitato quindi i confratelli a rinnovare nel pellegrinaggio “la nostra amicizia con Dio e gli uni con gli altri”. Tutti, ha sottolineato, “siamo chiamati ad abbracciare tutti i feriti del mondo, perché il Signore già ci ha abbracciato con la Sua misericordia e il Suo amore”.
Riprendendo l’Esortazione Apostolica Ecclesia in Medio Oriente di Benedetto XVI, il presule ha poi espresso tale auspicio: “Possano gli ebrei, i cristiani e i musulmani riscoprire uno dei desideri divini, quello dell’unità e dell’armonia della famiglia umana. Possano gli ebrei, i cristiani e i musulmani scorgere nell’altro credente un fratello da rispettare e da amare per dare in primo luogo sulle loro terre la bella testimonianza della serenità e della convivialità tra figli di Abramo. Invece di essere strumentalizzati in conflitti reiterati e ingiustificabili per un autentico credente, il riconoscimento di un Dio Uno può – se vissuto con un cuore puro – contribuire notevolmente alla pace della regione e alla convivenza rispettosa dei suoi abitanti”.
Di qui l’invito ai battezzati a rimanere in Terra Santa come segni forti “di amicizia, di perdono, di purificazione della memoria e di riconciliazione tra le diverse comunità”. “Siamo rimasti qui lungo i secoli non per un sbaglio storico ma per un ruolo dentro il piano divino”, ha rimarcato Soueif. Gerusalemme “è la terra di Dio” e “deve essere una terra di riconciliazione, di pace e di amore.” L’arcivescovo di Nicosia ha concluso invocando l’aiuto della Vergine Maria, affinché “le comunità cristiane di Terra Santa, del Medio Oriente e dell’Europa e di tutto il mondo gridino con la forza della speranza: ‘Colui che cercate tra i morti non c’è più, è risuscitato’”.