"Felicità, gioia, liberazione": le emozioni di un campione del mondo

Giuseppe Vicino, capovoga della barca azzurra che ha appena vinto il titolo mondiale di canottaggio nei “quattro senza”, parla della recente impresa, dei valori dello sport e dedica un pensiero a Napoli, la sua città

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Il canottaggio torna a colorarsi d’azzurro. Il 5 settembre scorso, l’Italia ha chiuso la penultima giornata di gare ai Mondiali di Aigubelette, in Francia, con uno storico oro conquistato nella disciplina del “quattro senza” maschile. Gli atleti Marco Di Costanzo, Matteo Castaldo, Matteo Lodo e Giuseppe Vicino sono riusciti a riportare il nostro Paese sul tetto del mondo, esattamente vent’anni dopo l’ultima impresa, datata 1995, ai Mondiali di Tampere, in Finlandia.

Una barca, quella composta dai giovani azzurri, che si è messa alle spalle l’Australia, bronzo iridato 2014, e la Gran Bretagna, campione olimpica e mondiale in carica, ma in questa competizione con un equipaggio totalmente rinnovato.

La portata della vittoria ottenuta è condensata nelle parole di Giuseppe Vicino, 22enne capovoga del quartetto azzurro. In un’intervista a ZENIT, l’atleta racchiude le emozioni provate a seguito della vittoria in tre parole: felicità, gioia, liberazione. “Le emozioni che si  vivono sono di gran lunga diverse rispetto a quelle che potresti aspettarti – spiega con la voce ancora trepidante -: subito dopo aver superato il traguardo senti un mix di felicità, gioia e liberazione”.

Felicità che nasce dal fatto che “pur non riuscendo a respirare per la fatica, senti un fuoco dentro che ti fa trovare le forze per alzarti e festeggiare”. Gioia perché “ripensi a tutte le persone che ti sono state vicine, aiutandoti nei momenti buoni e cattivi della tua carriera e ti hanno spinto ad arrivare fino a questo grandissimo risultato”. E infine liberazione, che sorge nel momento in cui “capisci che tutti i sacrifici che hai fatto durante la preparazione sono stati finalmente ripagati”.

La gara è stata palpitante. L’Italia ha ottenuto la vittoria grazie a un finale in crescendo. “È andata come ce l’aspettavamo – commenta Vicino -: ci siamo staccati dai barchini molto bene così da prenderci un po’ di vantaggio sugli avversari. A metà gara gli australiani hanno preso il comando con una serie di attacchi efficaci, ma noi sapevamo che per superarci dovevano usare tante energie, quindi arrivati agli ultimi 500 metri di gara abbiamo cambiato passo e questo ci ha permesso di prendere il comando della gara e arrivare agli ultimi 250 metri con quasi un’imbarcazione di vantaggio sugli australiani”.

Nelle parole di Vicino trasuda ancora l’impegno profuso. Del resto il “quattro senza” è una barca in cui contano tantissimo – spiega lui stesso – “sia il fattore tecnico sia quello fisico, perché solo se riesci ad equilibrare le due cose la barca può ripagarti di tutto lo sforzo necessario durante gli allenamenti”.

Vicino svolge il ruolo di capo voga, che definisce “molto importante”, in quanto ha il compito di dettare il ritmo di gara e la quantità di palate, affinché l’imbarcazione possa raggiungere la massima velocità e mantenerla per tutta la gara. Per questo bisogna possedere “sensibilità tecnica e mente fredde come un cecchino, ma anche un temperamento un po’ pazzo per poter riuscire a compiere cambi di ritmo velocissimi che possano portare l’imbarcazione alla vittoria”.

Negli ultimi anni Vicino ha saputo bilanciare le due doti. Le esperienze meno positive del passato gli hanno insegnato “ad essere più freddo e maturo nei momenti difficili durante la gara”. E ora lo sguardo è già rivolto al prossimo obiettivo, cioè le Olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016, dove gli azzurri arriveranno da campioni del mondo. Un titolo che – spiega Vicino – “ci rende fieri ma allo stesso tempo ci carica di pressione per le aspettative che ora ha l’Italia nei nostri confronti”.

Vicino non nasconde di ritenersi fortunato perché il canottaggio, la sua passione, è diventato anche il suo lavoro. È grato allo sport, che gli ha trasmesso dei valori importanti nella vita: “Il rispetto dell’avversario, la disciplina e l’attenzione ai particolari”. Considerazioni che lo portano a dedicare un ultimo pensiero alla sua amata terra: “Sono cresciuto a Napoli e sono certo che se si insegnassero di più ai bambini i valori dello sport probabilmente le cose andrebbero diversamente in una città meravigliosa ma difficile come la mia”.

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Federico Cenci

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