“Ce lo chiede l’Europa”. L’ormai celebre adagio è tornato a corroborare le tesi di quanti auspicano che anche l’Italia conceda alle coppie dello stesso sesso di formalizzare la propria unione. È successo a seguito della risoluzione approvata dal Parlamento europeo martedì scorso, con la quale si chiede a nove Stati membri, tra cui l’Italia, di “considerare la possibilità di offrire” alle coppie omosessuali istituzioni giuridiche come unioni civili o matrimonio.
Il nuovo sollecito nei confronti del nostro Paese – privo di valore vincolante – giunge a due mesi dalla sentenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, che ha condannato l’Italia per aver negato a tre coppie omosessuali di fare le pubblicazioni presso i propri Comuni di residenza per potersi sposare.
L’insistenza delle istituzioni europee su certi temi si registra in un momento storico in cui in Comissione Giustizia del Senato si discute del ddl Cirinnà, volto a legalizzare le unioni civili. Il dibattito si fa dunque intenso e corre in punta di diritto. Per tentare di dirimere alcune questioni legate alle pressioni sovranazionali e agli aspetti legislativi del ddl Cirinnà, ZENIT ha intervistato il prof. Alberto Gambino, giurista e ordinario di diritto privato presso l’Università Europea di Roma.
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Prof. Gambino, che valore assume la risoluzione approvata dal Parlamento europeo?
Si tratta di un provvedimento che esprime la volontà di un organo legislativo sovranazionale che è certamente rappresentativo della cittadinanza dei Paesi che aderiscono all’Unione europea ma che non può scavalcare – su questi temi – la volontà dei Parlamenti nazionali, i quali rimangono sovrani di autodeterminarsi proprio con riguardo alla legislazione sul diritto di famiglia.
Può tuttavia influenzare l’opinione pubblica e, soprattutto, la politica italiana?
L’opinione pubblica è un concetto molto scivoloso: sono i giornali, le elites culturali, le lobby di pressione? O addirittura i sondaggi più o meno artefatti? Quanto alla politica italiana, cioè ai parlamentari, occorre ricordare che si tratta di persone elette con un sistema maggioritario che ha dato un premio di maggioranza abnorme (come ha riconosciuto la stessa Corte costituzionale chiedendo di riformare la legge elettorale) ad una minoranza e che dunque non è rappresentativo fino in fondo. Anche e soprattutto per questo motivo è bene che il Parlamento non faccia forzature, soprattutto se – come pare – anche all’interno della maggioranza governativa ci sono forti resistenze sul tema.
I sostenitori delle unioni civili accusano il nostro Paese di essere culturalmente non evoluto a causa del suo ritardo, su questo tema, rispetto ad altri Paesi europei…
Se si ritengono evoluti quegli ordinamenti che riconoscono i matrimoni tra persone dello stesso sesso, credo si stia compiendo un errore di prospettiva inimmaginabile, retrocedendo inevitabilmente quell’istituto fondamentale per la crescita e lo sviluppo dei popoli che è la famiglia e la formazione della prole. Diverso è invece ritenere che l’Italia debba dotarsi di una normativa che offra una disciplina chiara per le relazioni e gli affidamenti tra persone conviventi dello stesso sesso, in questo riconosco che forse si sarebbe potuto agire con più tempestività nel recente passato.
In Commissione Giustizia del Senato, intanto, prosegue il dibattito sul ddl Cirinnà. Ritiene che ci siano elementi costituzionali per respingere un’equiparazione tra unioni civili e matrimoni in termini di garanzie sociali, quali ad esempio reversibilità delle pensioni e assegni familiari?
L’equiparazione, se ci fosse, porterebbe con sé tutte le prerogative tipiche del matrimonio, non soltanto le garanzie sociali e la reversibilità, ma anche le adozioni e le previdenze proprie della famiglia. Il tema centrale è proprio questo: se si utilizza lo strumento giuridico del matrimonio con le sue caratteristiche codicistiche sarà inevitabile la totale equiparazione, come è accaduto in tutti quegli ordinamenti che hanno “istituzionalizzato” le unioni civili. Anzi, aggiungo: l’equiparazione sostanziale dovrà seguire l’equiparazione formale per il rispetto – in termini giuridici – del principio di non discriminazione. Cioè una volta scelto un istituto normativo – il matrimonio appunto – non si potrà ammettre che i beneficiari di questo istituto abbiano qualcosa di meno rispetto ai coniugi di sesso diverso. Per questo ritengo profondamente erroneo richiamare le norme del codice civile sul matrimonio, come sta accadendo ora nel ddl Cirinnà.
Codice civile che rappresenta un baluardo contro i matrimoni omosessuali…
Certo, il codice civile consente soltanto il matrimonio tra persone di sesso diverso. Ma è per questo che lo si vuole cambiare. A quel punto rimarrà “solo” il presidio costituzionale e – si spera – il vigile operato dei suoi garanti – i giudici costituzionali – che difficilmente potranno rimanere silenti.