È un afflato pastorale – proveniente dalla sua esperienza di vescovo e cardinale, ma anche dalla sua storia familiare – quello che dà corpo e respiro alle parole del cardinale Christoph Schönborn nell’intervista alla rivista dei gesuiti La Civiltà Cattolica. “Matrimonio e conversione pastorale” si intitola il lungo e articolato colloquio che l’arcivescovo di Vienna – tra i protagonisti del Sinodo 2014, per i suoi interventi ‘originali’ – ha concesso al direttore padre Antonio Spadaro, in vista dell’assise ordinaria del prossimo ottobre. Il Sinodo è infatti il centro della intervista: questo “cammino comune” messo in moto da Papa Francesco in cui – dice il cardinale – “siamo tutti chiamati a osservare la situazione” familiare e matrimoniale, “non con uno sguardo dall’alto, a partire da idee astratte, ma con lo sguardo dei pastori che percepiscono la realtà di oggi in uno spirito evangelico”.
Uno sguardo, dunque, che non sia “critico” o che sottolinei “ogni mancanza”, ma “uno sguardo benevolo, che vede quanta buona volontà e quanti sforzi esistono, pur in mezzo a molte sofferenze”. In fondo, sottolinea Schönborn, “ci viene chiesto un atto di fede: avvicinarci, come Gesù, alla folla variegata senza avere paura di essere toccati”.
Questo era l’originario impulso di Papa Francesco nell’indire i due Sinodi. E questo è l’auspicio del cardinale che vorrebbe far risaltare dall’assemblea “il desiderio di guardare le persone concrete nelle gioie e nelle sofferenze, nelle tristezze e nelle angosce della loro vita quotidiana e portare loro la Buona Notizia”. “Bisogna staccarsi dai nostri libri – aggiunge – per andare in mezzo alla folla e lasciarsi toccare dalla vita delle persone. Guardarle e conoscere le loro situazioni, più o meno instabili, a partire dal desiderio profondo inscritto nel cuore di ognuno”. Secondo lo schietto porporato, “non abbiamo ancora raggiunto questa dimensione nel discorso ecclesiastico e nel discorso del Sinodo. Parliamo ancora troppo con una lingua fatta di concetti vacui…”.
Il rischio, o forse la paura, per molti, è di allontanarsi troppo dalla dottrina. Ma per Schönborn non è così: “La sfida che ci lancia Papa Francesco – afferma – è di credere che, dotati di questo coraggio che ci viene dalla semplice vicinanza, dalla realtà quotidiana della gente, noi non ci allontaniamo dalla dottrina. Non rischiamo di diluire la sua chiarezza camminando con le persone, perché noi stessi siamo chiamati a camminare nella fede”.
“La chiarezza della luce della fede e del suo sviluppo dottrinale in ogni persona – sottolinea ancora – non è in contraddizione con il cammino che Dio compie con noi stessi, che siamo spesso lontani dal vivere in modo pieno il Vangelo”. Teologi, pastori e “custodi della dottrina” a volte dimenticano questo, come pure del fatto che “la vita umana si svolge nelle condizioni poste da una società: condizioni psicologiche, sociali, economiche, politiche, in un quadro storico”.
L’arcivescovo di Vienna individua poi alcuni punti nevralgici a cui, a suo parere, lo scorso Sinodo non ha dato il giusto peso. “Mi ha lasciato un po’ scandalizzato il fatto che al Sinodo noi abbiamo parlato molto astrattamente di matrimonio – spiega -. Pochi tra noi hanno parlato delle condizioni reali dei giovani che si vogliono sposare. Ci lamentiamo della realtà quasi universale delle unioni di fatto, di molti giovani e meno giovani che convivono senza sposarsi civilmente e ancora meno religiosamente; siamo qui per deplorare questo fenomeno, invece di chiederci: ‘Che cosa è mutato nelle condizioni di vita?’”. Ad esempio, in Austria la grande maggioranza è composta da giovani che convivono, in quanto, già oppressi da situazioni lavorative precarie, “se si sposano sono sfavoriti dal fisco”. “Come vogliamo che possano costruire una casa, fondare una famiglia, in queste condizioni?”, domanda il cardinale.
Proprio sulle famiglie che vivono situazioni “irregolari” si posa lo sguardo del cardinale Schönborn, che, ricordando l’esistenza di “cammini di guarigione e approfondimento”, in cui “la legge è vissuta passo dopo passo”, ribadisce la sua ‘teoria’ già esposta l’ottobre scorso. Ovvero il fatto che anche da queste situazioni possano emergere dati positivi, veri e propri elementi semina Verbi.
“Poiché il matrimonio è una Chiesa in piccolo – spiega – la famiglia come piccola Chiesa, mi sembra legittimo stabilire un’analogia e dire che il sacramento del matrimonio si realizza pienamente là dove giustamente c’è il sacramento tra un uomo e una donna che vivono nella fede ecc. Ma ciò non impedisce che, al di fuori di questa realizzazione piena del sacramento del matrimonio, ci siano elementi del matrimonio che sono segnali di attesa, elementi positivi”.
Per questo, sottolinea il porporato, “dovremmo guardare le numerose situazioni di convivenza non solo dal punto di vista di ciò che manca, ma anche dal punto di vista di ciò che è già promessa, che è già presente”. “So di scandalizzare qualcuno dicendo questo – soggiunge il cardinale – ma si può sempre imparare qualche cosa dalle persone che oggettivamente vivono in situazioni irregolari”. Anche perché “un cattolico non può porsi su un gradino più alto rispetto agli altri. Ci sono santi in tutte le Chiese cristiane, e persino nelle altre religioni”.
E inoltre “bisogna osservare prima di giudicare”. Per esempio, “ci sono casi in cui solo in una seconda, o anche in una terza unione, le persone scoprono davvero la fede. Conosco una persona che ha vissuto molto giovane un primo matrimonio religioso, apparentemente senza fede. Questo fu un fallimento, a cui sono seguiti un secondo e poi persino un terzo matrimonio civile. Solo allora, per la prima volta, questa persona ha scoperto la fede ed è diventata credente. Dunque, non si tratta di mettere da parte i criteri oggettivi, ma nell’accompagnamento devo stare accanto alla persona nel suo cammino”. Tutti i vescovi e sacerdoti sono allora chiamati a stare vicino e seguire pastoralmente questa gente ‘ferita’. L’atteggiamento giusto è quello del Buon Pastore che non resta ad aspettare “soluzioni generali” ma si pone accanto di coloro “che vivono un divorzio e un nuovo matrimonio nelle loro situazioni personali”.
Sulla questione ‘divorziati risposati’, la posizione del cardinale austriaco rimane dunque chiara: “I criteri oggettivi ci dicono chiaramente che una certa persona ancora legata da un matrimonio sacramentale non potrà partecipare in modo pieno alla vita sacramentale della Chiesa. Soggettivamente essa vive questa situazione come una conversione, come una vera scoperta nella propria vita, al punto che si potrebbe dire, in qualche modo che per il bene della fede si può fare un passo che va al di là di ciò che oggettivamente direbbe la regola”.
L’arcivescovo si dice “scioccato” dal modo di alcuni Padri di “argomentare” in modo “puramente formalista” la scure dell’intrinsece malum (atto intrinsecamente cattivo, ndr). Così facendo – afferma – “si perde tutta la ricchezza, anzi direi quasi la bellezza di un’articolazione morale, che ne risulta inevitabilmente annichilita”. “Non solo si rende univoca l’analisi morale delle situazioni, ma si resta anche tagliati fuori da uno sguardo globale sulle conseguenze drammatiche dei divorzi: gli effetti economici, pedagogici, psicologici ecc”. “L’ossessione dell’intrinsece malum ha talmente impoverito il dibattito che ci siamo privati di un largo ventaglio di argomentazioni in favore dell’unicità, dell’indissolubilità, dell’apertura alla vita, del fondamento umano della dottrina della Chiesa. Abbiamo perso il gusto di un discorso su queste realtà umane”.
In ultima istanza, il cardinale affronta anche la spinosa questione sull’accoglienza della Chiesa a persone omosessuali.
“Si può e si deve rispettare la decisione di creare un’unione con una persona dello stesso sesso”, dice, tuttavia “se ci viene chiesto, se si esige che la Chiesa dica che questo è un matrimonio, ebbene dobbiamo dire: non possumus”. Questa “non è una discriminazione delle persone: distinguere non vuol dire discriminare”, precisa il cardinale. Ciò però “non impedisce assolutamente di avere un grande rispetto, un’amicizia, o una collaborazione con coppie che vivono questo genere di unione, e soprattutto di non disprezzarle”.
Il card. Schönborn conclude l’intervista richiamando l’insegnamento del suo amico Benedetto XVI su queste vicende. “Papa Benedetto – sottolinea – ha mostrato in modo magnifico nel suo insegnamento che la vita cristiana non è in prima battuta una morale, ma un’amicizia, un incontro, una persona. In questa amicizia noi impariamo come comportarci. Se diciamo che Gesù è il nostro Maestro, vuol dire che impariamo da lui direttamente il cammino della vita cristiana”. Cammino che “non è un catalogo di dottrina astratta o uno zaino pieno di sassi pesanti che dobbiamo portare, ma è una relazione viva”.