Non esiste soltanto il fanatismo di matrice religiosa, quello dei tagliagole del Califfato o degli ebrei integralisti che in Israele profanano i luoghi di culto altrui. Esiste anche un fanatismo della magistratura, benché meno violento, di stampo laico e progressista.
Negli Stati Uniti, diffusamente considerati il “faro” della democrazia occidentale, le manette possono essere allacciate ai polsi di una donna rea di aver opposto la propria coscienza religiosa al rilascio di licenze matrimoniali a coppie omosessuali.
Il caso si è registrato giovedì scorso, 3 settembre, ad Ashland, sperduta cittadina del Kentucky. Kim Davis, impiegata comunale della contea di Rowan, negli ultimi mesi ha rifiutato per quattro volte di fornire i documenti necessari per il matrimonio tra persone dello stesso sesso, malgrado la sentenza della Corte Suprema che, a giugno, ha esteso a tutti gli Stati Uniti il diritto degli omosessuali di formalizzare la loro unione.
La donna, appartenente a una Chiesa cristiana evangelica, ha opposto un’obiezione per motivi religiosi: “Emettere licenze matrimoniali con la mia firma è per me impossibile”, ha affermato. Quattro coppie, due omosessuali e due di sesso diverso, dopo aver protestato con veemenza e invitato la cancelliera a svolgere i suoi doveri d’ufficio, l’hanno denunciata. Un gesto più che altro simbolico, giacché le coppie avrebbero potuto chiedere la licenza matrimoniale altrove.
È così che il giudice distrettuale, David Bunning, ha dato ragione ai querelanti e imposto alla Davis di “adempiere alle proprie funzioni, nonostante le sue convinzioni religiose”. L’esecutività della sentenza è rimasta in sospeso fino alla scorsa settimana. Nel frattempo la donna è ricorsa alla Corte Suprema, chiedendo una proroga della sospensione, che le è stata tuttavia negata. “Non è suo diritto non agire in conformità della Costituzione. Ci sono poche o nessuna possibilità che la sua tesi possa prevalere in appello”, hanno stabilito i giudici del massimo Tribunale.
La Davis, per nulla intenzionata a piegarsi alla sentenza, ha però continuato a rifiutare di concedere le licenze. Si è dunque barricata nel suo ufficio, mentre all’esterno si assisteva a una gazzarra dovuta alla presenza, oltre che delle quattro coppie che erano state respinte dalla Davis nei mesi scorsi, anche di manifestanti pro e contro i matrimoni omosessuali.
La battaglia legale è poi proseguita nelle ore successive, fino all’epilogo forse più inopinato. Ciò che sembrava un’ipotesi estrema e sproporzionata, ossia il carcere, è la condanna che le toghe hanno stabilito per la Davis. Mantenendo la schiena dritta anche di fronte a questa pena esagerata, prima di esser condotta dietro le sbarre, la donna ha sottolineato che “il matrimonio è l’unione tra un uomo e una donna”.
Il suo coraggio ha suggerito ai sostenitori della causa Lgbt di ficcare il naso nella sua vita privata. L’obiettivo? Trovare scheletri nell’armadio da poter sventolare come prova della sua ipocrisia. Di qui i tanti articoli in cui cronisti zelanti rilevano i tre divorzi che la donna si porta dietro le spalle. “I suoi matrimoni sono legati al passato, lei ora è diversa”, ha replicato il suo legale, nel tentativo di difendere la sua assistita da un rovente fuoco di fila mediatico.
Ma se da un lato ci sono i tanti che usano – senza garbo alcuno – il passato sentimentale turbolento della Davis per screditarla, dall’altro il suo coraggio le sta valendo il sostegno di numerosi americani che invocano il diritto all’obiezione di coscienza. Per questi ultimi, Kim Davis è diventata un simbolo del primo emendamento della Costituzione, che permette il libero esercizio della propria religione. A tal proposito nel Kentucky circa 300 persone sono scese in strada domenica mattina per manifestare in suo favore. E tra i sostenitori della donna, spicca anche un nome inatteso, quello di Christopher Ciccone, fratello omosessuale della nota cantante Madonna.
Il tema appassiona anche il mondo politico. Subito dopo la sentenza della Corte Suprema che ha imposto a tutti gli Stati Uniti il matrimonio omosessuale, fu il Governo del Texas a promettere battaglia per tutelare l’obiezione di coscienza, garantendo assistenza legale ai funzionari che si sarebbero opposti alle licenze contrarie alle proprie convinzioni religiose.
Ed è proprio dal Texas che oggi giunge alla Davis un importante attestato di solidarietà. È quello del senatore Ted Cruz, candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti per le elezioni del 2016. “Chiedo a ogni credente, a ogni costituzionalista e a ogni amante della libertà di stare con Kim Davis e fermare la persecuzione”, ha tuonato Cruz. Il quale ha inoltre accusato le istituzioni di aver “arrestato una donna cristiana perché vuole vivere secondo la sua fede”. Un’accusa di fanatismo laico e progressista, contro il quale la Davis intende battersi finanche sfidando una detenzione dai tempi ancora indefiniti.