Li vedo camminare teneramente abbracciati mentre, sottovoce, dicono il rosario. È la prima volta che vengo a visitare Sacra di San Michele e il destino ha voluto che dovessi arrivarci, accompagnata dalla storia di Francesco e Caterina. Per una serie di coincidenze, la loro fiducia si è incontrata con la mia ricerca spirituale e ne è nato un regalo da parte loro: il racconto confidenziale della loro esperienza. Lei pedagogista e lui impiegato, negli ultimi vent’anni hanno dovuto sopportare una “sorte avversa” terribile ed estesa in ogni campo.
Malattie gravi e problemi economici continui hanno aperto la strada a quella tensione che è spesso l’anticamera di tante separazioni. Finché un giorno, Caterina, spinta da un’improvvisa intuizione, va a confidare queste continue prove ad un frate francescano, rinomato per la sua saggezza spirituale. È il 1° gennaio 2012 e in quel giorno inizierà un cammino che li porterà a dare un nome alla vera causa delle loro traversie: maleficio. Satana è potuto entrare nella loro vita tramite altre persone invidiose e malevole.
Riassumo così (troppo e male) un racconto di vent’anni che mi è stato regalato perché aprissi gli occhi un po’ di più sull’invisibile mondo che ci circonda. Dall’incontro con quel frate ne è passata di acqua sotto i ponti e, nel frattempo, Francesco e Caterina sono stati bagnati dall’acqua della grazia divina. Ma sono dovuti passare attraverso la resistenza della loro razionalità (satana? roba per creduloni) e della loro paura (ma allora certe cose succedono realmente?) per approdare, insieme, all’abbandono totale a Dio, facendo della frase di Gesù “Non aver paura, continua solo ad aver fede” (Mc 4,36) il loro motto.
La loro è una storia da scriverci un libro e mi sento anche un po’ privilegiata ad arrivare alla Sacra San Michele con loro due affianco. La loro lotta è quasi arrivata al capolinea ma “la bestia antica” ancora si fa sentire (anche se con fastidi che sono un niente, rispetto al passato). È il 2 agosto, festa del perdono di Assisi, e loro due hanno scelto appositamente questa data per andare da san Michele Arcangelo, loro prezioso alleato in questa lotta.
Partiamo tutti e quattro insieme dall’hotel. Il cielo è azzurro ed il sole splende come non mai. Ad un certo punto vedo la loro auto fermarsi. Francesco sta male. Un improvviso ed acuto mal di testa gli rende perfino difficile guidare. Io vorrei aiutarlo. Ci fermiamo in una locanda familiare e, con la scusa di una colazione veloce, provo a chiedere qualcosa per il mal di testa. Vedere Francesco così sofferente è uno strazio. Ma non hanno niente.
Francesco bisbiglia: “Non vuole che arrivi alla Sacra. Ma io ci vado”. Caterina lo guarda e lo incoraggia: “È segno buono. Ci sono “grazie” in serbo per noi, lassù”. Io osservo il loro “leggere” gli eventi alla luce della fede e capisco perché abbiano scelto la quasi totale riservatezza sulla loro vicenda personale. Chi capirebbe? Quanti “maestri” si farebbero avanti per dare loro spiegazioni diverse sulle loro vicende personali. Francesco a Caterina sanno tutto questo, perché anche loro due ci hanno messo degli anni per “comprendere”. Intelligenti, laureati, credenti…eppure impreparati a “capire”.
Arrivati al parcheggio li guardo salire tenendosi per mano, pregando sottovoce, insieme. Nel tardo pomeriggio, quando ci reincontriamo al parcheggio, vedo Francesco sereno. “Come stai? Il mal di testa?”. “Passato tutto durante la messa” mi risponde sorridendo. Io mi chiedo se sia una fortunata casualità o se davvero, in quel luogo, nella festa del Perdono d’Assisi, san Michele Arcangelo e san Francesco abbiano stretto un’alleanza per liberare e sanare Francesco.
Clemente Rebora ha definito “culmine vertiginosamente santo” quest’abbazia che è collocata sulla cima del monte Pirchiriano in Valle di Susa. Lì fascino e storia si incontrano, riportando fede e leggende. Si racconta che San Giovanni Vincenzo, nel X secolo, volesse costruire un’abbazia sul Monte Caprasio. Ma i lavori non andavano mai avanti: ogni giorno posava le prime pietre della costruzione e ogni notte queste sparivano. Deciso a svelare il mistero, una notte scoprì che non si trattava di ladri di materiale, ma di angeli. I messaggeri celesti comparivano con il buio e trasportavano le pietre sul monte Pirchiriano. Fu così che san Giovanni decise di costruire lì, l’abbazia.
Ma se dalla leggenda passiamo alla storia, tutto diventa ancora più interessante e bello. Dentro san Giovanni Vincenzo batteva un cuore alla continua ricerca dell’Onnipotente. Discepolo di san Romualdo, aveva un desiderio enorme di Dio tanto che, ad un certo punto, lasciò la prestigiosa cattedra episcopale di Ravenna (era il 998) per ritirarsi a vita eremitica. Le reali motivazioni non si conoscono ma certo non fu una fuga. Documenti dell’epoca parlano di lui come di un vescovo molto presente ed attivo. Comunque sia, ad un certo punto della sua vita, scelse la Val di Susa come luogo del suo eremitaggio. Ed è storicamente vero che all’inizio preferì il monte Caprasio, ma che poi si trasferì proprio di fronte, sul monte Pirchiriano (dove è attualmente la Sacra San Michele). Sappiamo che il santo era molto devoto all’Arcangelo San Michele e che questi, più di una volta, gli apparve chiedendogli, infine, di edificare una cappella in suo onore, indicandogli il monte preciso.
Una cosa è certa: su quel monte sia prima dell’arrivo di san Giovanni Vincenzo sia dopo, il culto di san Michele Arcangelo è sempre stato vivo. Vivissimo! E tale devozione e rispetto hanno lasciato un segno. Chi passa di lì, guardando l’Abbazia, non può non sentire sulla propria pelle, quel “culmine vertiginosamente santo”. Francesco a Caterina mi hanno aiutata e percepirlo con più chiarezza.
Andateci, se potete.
[Tratto da www.intemirifugio.it]