Capita raramente di leggere un libro in grado di contemperare un punto di vista specialistico con la capacità di visualizzare a 360 gradi il profondo mutamento socio-culturale (se non addirittura antropologico) di cui siamo testimoni.
Giornalismi nella rete. Per non essere sudditi di Facebook e Google (Donzelli Editore, 2015) di Michele Mezza riesce in questo intento. Il punto di vista assunto è quello della professione giornalistica, ma poiché – come osserva Giulio Anselmi nella prefazione – “per un intero secolo l’informazione è stata considerata l’avamposto della modernità”, interrogarsi sulle sue vicende significa riflettere sulle sorti della democrazia e, più in generale, sullo stato del progresso.
Abbiamo usato non a caso le parole “visualizzare a 360 gradi”, perché Giornalismi nella rete è un libro ipermediale, che non si esaurisce nella dimensione cartacea, ma interagisce con Internet grazie al codice QR presente sulle pagine a stampa (il QR è un codice a barre che consente di collegarsi a un sito web che costituisce l’interfaccia del libro: giornalisminellarete.donzelli.it).
Il libro parte da una domanda: che cosa sta accadendo al mestiere del giornalista? “Viviamo un singolare paradosso – spiega Michele Mezza – non siamo mai stati immersi in un’abbondanza di informazioni e di indotti informativi come nel nostro tempo, e, contemporaneamente, il giornalismo non ha mai vissuto una crisi esistenziale e materiale, quale quella che lo attanaglia oggi”.
“Sta mutando radicalmente il meccanismo commerciale che presiedeva allo scambio di informazioni nel mondo – continua Mezza – siamo in una spirale che vede la produzione e distribuzione di giornali, e più in generale di sistemi informativi, soffrire un calo di domanda senza precedenti”.
All’origine di questa situazione è, ancora una volta, lo sviluppo tecnologico, con la crescita inarrestabile di un nuovo protagonista: la rete, che – come afferma Mezza – “è un mondo e non un media”. Stiamo assistendo ad un capovolgimento di importanza pari alla Rivoluzione Industriale. Ma se quella si svolse nell’arco di tre generazioni, dando alla gente il tempo di adeguarsi, la rivoluzione del web è molto più veloce e si estende ad ogni mezzo di espressione delle idee (la parola, lo scritto, il suono, l’immagine…), modificando radicalmente il destino delle attività intellettuali.
Per capire l’importanza del fenomeno in atto, il libro cita alcuni esempi: “5 gennaio 2014, nel cuore della notte muore Pino Daniele, per varie ore i media tradizionali tacciono, l’informazione comincia a serpeggiare grazie a Twitter e Facebook; 7 gennaio 2014, un commando islamico irrompe nella redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo e compie una strage, le notizie girano soprattutto sui social network…”.
Nello scenario mediatico irrompe una situazione inedita: la principale fonte di notizie, per velocità ed ampiezza di contenuti, è diventata la rete. E, all’interno della rete, le piattaforme vincenti sono quelle di social network. Mentre giornali, agenzie e tv hanno perso il monopolio dell’informazione.
Questo stato di cose dà il via ad una gigantesca opera di riconversione da parte delle maggiori testate giornalistiche. Una lotta di sopravvivenza per non uscire dal mercato. E anche qui il libro è denso di esempi dettagliati, sia dal punto di vista informativo che dal punto di vista tecnico. Testate storiche come il Guardian, il New York Times, il Washington Post stanno intervenendo sul profilo organizzativo e professionale delle loro redazioni per realizzare “un accelerato processo di convergenza con il web”. Una convergenza che si affida ad una procedura automatizzata: l’algoritmo, capace di estrarre i dati dalla rete e di catalogarli secondo un ordine concettuale dato. Ed è in questo contesto – afferma Mezza – che i giornalisti potranno ritrovare “una prospettiva, un protagonismo, un’ambizione”, sviluppando nuovi profili “legati alla lettura e decifrazione della rete”.
A questo punto Michele Mezza, forte anche della sua esperienza di giornalista RAI e docente universitario (insegna Culture digitali presso l’Università Federico II di Napoli), delinea le nuove skills che saranno necessarie per reinventarsi nei nuovi scenari determinati da Internet: una sorta di “manuale di sopravvivenza” per i giornalisti delle giovani generazioni.
Riteniamo di poter dire che uno dei principali motivi di interesse del libro consiste proprio nella continua opera di sintesi fra la dimensione tecnologica e quella riflessiva. Opera di sintesi che trova un autorevole referente nel “think tank” dell’Internet Festival di Pisa (www.internetfestival.it), centro di incubazione del nuovo “pensiero digitale”.
Su un aspetto Michele Mezza è molto chiaro: la natura di questo cambiamento, di questa “mediamorfosi” (così come la definisce), è un fenomeno ancora in divenire, caratterizzato da assetti che cambiano in maniera frenetica. Un fenomeno veicolato dalla “potenza della rete come sistema culturale in cui milioni di persone conferiscono tempo, capacità e attenzione per proporre un’infinità di contenuti. In queste acque tempestose bisogna nuotare”.
A conferma di questa provvisorietà, Mezza cita un evento (“una vera bomba nucleare”, lo definisce) che potrebbe introdurre nuovi sconvolgimenti nei fragili equilibri in atto: “un accordo per cui i giornali cedono a Facebook le proprie notizie e il social network si incarica di distribuirle in tutto il mondo, a seconda dei profili personalizzati che ha ricavato dai suoi 1,5 miliardi di utenti. In sostanza i giornali spariscono come soggetto e diventano fornitori di un’unica edicola globale che si arroga il diritto di decidere quali notizie ognuno di noi preferisce”.
È questa una notizia che, di per sé, giustifica il sottotitolo del libro, laddove evoca il rischio di una sudditanza nei confronti dei grandi network. Le sue implicazioni, almeno qui in Italia, sono passate abbastanza sottotraccia, ma non sono sfuggite al quotidiano cattolico Avvenire: “Ovviamente, al colosso social interessano solo le notizie che ‘fanno traffico’; quelle che vengono maggiormente lette, commentate e condivise. E tutte le altre? E tutti gli altri giornali? Per loro, in futuro, ci sarebbero delle bacheche a pagamento dove mettere le proprie notizie su Facebook. Chi le comprerà, avrà visibilità. Gli altri, a poco a poco, verranno messi sempre più in ombra…”.
Potremmo continuare ancora a lungo, tanti sono gli stimoli e i motivi d’interesse che emergono dalla lettura di Giornalismi nella rete. Ma ci fermiamo qui per evidenti ragioni di spazio, concludendo, a livello di sintesi, che siamo in presenza di un libro la cui lettura è quasi indispensabile per gli addetti ai lavori e per i giovani giornalisti orientati alla professione; ma, al tempo stesso, un libro di sicuro interesse per il lettore attento, desideroso di capire lo “spirito del tempo” attraverso uno dei suoi fenomeni più significativi: il web e la cultura della condivisione in rete.