«Cos’è la verità?» chiese Pilato a Gesù. Questa domanda di quel momento drammatico rimane tuttora critica e fondamentale. Se ne parla tanto nella Scrittura per essere una tematica trascurabile. È così radicale che fraintenderne il senso e la finalità significa fraintendere il Vangelo stesso. Da qui l’importanza di chiarire il senso della verità nel contesto scritturistico e teologico.
È questo uno dei filoni che si possono rintracciare nell’opera del teologo carmelitano Denis Chardonnens, sviluppato nel suo volume Dieu en l’homme. Inhabitation de Dieu Trinité et assimilation de l’homme à la verité per la collana Recherches Carmélitaines delle Éditions du Carmel.
La verità che è la Trinità
Già all’inizio dell’opera Chardonnens chiarisce che «la verità nella quale siamo introdotto è quella dell’amore di Cristo che ci unisce al Padre nello Spirito» (10). Nello sviluppo di questa premessa, l’A. offre uno studio approfondito della dottrina dell’inabitazione della Trinità con ricco e consistente ricorso al Corpus Johanneum, in dialogo con l’insegnamento di san Tommaso d’Aquino, nonché di altri interlocutori come santa Teresa d’Avila e Meister Eckhart… Questa convergenza tra il contributo teologico e quello mistico costituisce un rafforzativo reciproco di entrambi gli affluenti giacché la mistica è la teologia vissuta e la teologia è l’esplicitazione dell’implicito mistico.
Il percorso del libro che si dipana in otto capitoli, è ordinato, come un esercizio spirituale, a discernere l’opera di Dio-Trinità nell’itinerario della persona umana, un’opera che si realizza come un «camminare nella verità», fonte di trasformazione in Dio stesso (15).
L’ermeneutica veritativa della fede trova già eloquenti conferme nel Vangelo di Giovanni dove Gesù afferma di essere la verità (cf. Gv 14,6). Egli è inviato nel mondo per rendere testimonianza alla verità del Padre (cf. Gv 12,47; 18,37). Lo Spirito di verità che procede dal Padre e che Gesù invierà manifesterà, non un’altra verità, ma la verità stessa di Gesù. Egli sarà la memoria della parola e della persona di Gesù (cf. Gv 16). In breve, l’economia della rivelazione del Figlio è rivelata rivelativa della verità trinitaria e non può essere altrimenti giacché «mysterium Christi explicite credi non potest sine fide Trinitatis» (STh II-II q. 2 a. 8 c.). Il carattere cristologico della rivelazione manifesta il volto paterno di Dio. Il Padre «pronuncia» la Parola che è il Figlio e il Figlio fa l’esegesi, l’esplicitazione del Padre (cf. Gv 1,18).
La verità intratrinitaria è l’amore
La verità manifestata in Gesù, la verità trinitaria ad extra, riflette la vita della Trinità ad intra. Qui l’A. fa notare che l’esegesi che il Figlio fa del Padre a partire dal versetto Gv 1,18b mette in piena luce «la relazione d’amore reciproco del Padre e del Figlio, in riferimento al senso biblico di kolpos che è l’amore mutuo tra l’uomo e la donna (cf. Dt 13,7; 28,54-56; 2Sam 12,8), della madre per suo figlio (cf. 1Re 3,20; Ru 4,16; Is 49,22), o ancora di Mosè per il suo popolo (Nm 11,12)» (32).
Cristo manifesta la verità di Dio conducendo l’uomo nel seno del Padre, all’intimità con lui nello Spirito Santo. È questo il pieno senso della mistagogia: l’iniziazione al mistero di Dio è l’ingresso esistentivo nel vissuto nel Mysterion di Dio perché la verità di Dio è il mistero di comunione delle persone divine che sono la verità-una nell’amore.
Verità relazionale
La pretesa veritativa della teologia trinitaria, allora, non implica una gnosi quanto un approccio relazionale alla verità fondato sulla costituzione della persona in Dio, e la persona intesa nel senso sublime del termine formulato dall’Aquinate come «relazione sussistente» (STh I q. 29 a. 4). Così entrare nella verità significa maturare nella personificazione nel Figlio in quanto «non siamo pienamente personali che all’interno della persona del Figlio, per cui e in cui partecipiamo agli scambi della vita trinitaria» (H. de Lubac).
L’opera dello Spirito, quale sigillo relazionale tra Padre e Figlio e quale Vinculum amoris, è quella di «donarci di amare nella verità, per viverne e condividerla con i nostri contemporanei, nella nostra relazione con Cristo» (130).
L’inabitazione e la verità
La questione sopraccennata trova il suo prolungamento e la sua esplicitazione nella dottrina dell’inabitazione di Dio Trinità che permette alla creatura di partecipare alla vita del Dio unitrino. La «relatività assoluta» delle persone divine manifesta come ognuno dei «relativi» si trova nella nozione dell’altro (Gisbert Greshake).
Nella loro perikoresis, le persone trinitarie manifestano l’inseparabilità del loro esserci e la comunanza del loro agire. Questa dimensione immanente si manifesta nella storia della salvezza e rende i discepoli partecipi dell’opera comune dei Tre (cf. Gv 14,12). L’anima umana fa l’opera di Dio per la dimora di Dio in lei e per il suo dimorarsi in Dio. Essa in qualche modo riecheggia la perikoresis trinitaria nell’economia della salvezza vivendo un’unione senza confusione con Dio in un’assimilazione mistica al Logos.
La dimora del Dio trino nell’anima non è un fatto statico, ma è un evento dinamico che inserisce l’anima nella danza trinitaria. Nella griglia veritativa, questa dottrina inserisce l’essere umano all’interno dell’epifania della verità di Dio che non solo viene donata all’uomo, ma si manifesta come invito a questi affinché doni se stesso alla verità di Dio, affinché entri nella vita di Dio. Meister Eckhart spiega così l’ingresso nel presente di Dio: «Il Padre genera suo unico Figlio e in questa stessa nascita, l’anima rinasce in Dio. È una nascita unica; ogni volta che rinasce in Dio, il Padre genera nell’anima suo unico Figlio». La nascita del Verbo nell’anima è compresa allora come «assimilazione alla generazione del Verbo propria dell’essere divino, ovvero l’assimilazione alla verità generate che manifesta il Principio nel quale essa dimora».
Camminare nella verità
Il volto personale, trintiario e mistico della verità è manifesto nella ricchezza del lessico giovanneo riguardo all’opera dello Spirito di verità e del rapporto che l’uomo deve avere con la verità. L’opera di Ignace de la Potterie rimane una pietra miliare per vedere le sue immense sfumature in un Augenblick. L’A. sceglie di chiudere la sua opera concentrandosi su una di queste sfumature: «En alètheia péripateis».
Camminare nella verità crea uno stretto legame tra la verità eterna e il suo inveramento storico, tra aletheia e agape. L’amore è l’incarnazione della verità e la verità è il sostegno dell’amore. Il credente è colui che «vive sempre più intensamente nella luce della verità, vale a dire nell’irradiazione della fede nell’amore manifestato di Dio e nel quale accoglie il comandamento dell’amore» (326).
Per questo l’inveramento storico della verità passa per il vissuto ecclesiale, quale dimensione comunitaria per incarnare la caritas in veritate e viceversa. Quest’esperienza è «un’esperienza di rivelazione» perché nella paradosis ecclesiale, i cristiani accolgono il donarsi di Cristo nella Parola, nel Pane eucaristico e nel volto del fratello (366). La chiamata alla comunione ecclesiale rivolta dal Padre nel Figlio è chiamata affinché gli essere umani «compiano il loro essere persone» nell’amore.
< p>Questo volto pratico della verità manifesta la natura pericoretica tra dogma e spiritualità. Ed è proprio quest’attenzione che accompagna fedelmente l’opera di Chardonnens che ne fa un prezioso strumento di frontiera tra la teologia dogmatica e la spiritualità contribuendo a rinsaldare i legami tra fides qua e fides quae, tra intellectus fidei e confessio fidei. Tale congiunzione non si presenta come sovrapposizione, ma come convergenza complementare dove l’“Oggetto” della teologia è stato sempre conosciuto per connaturalità, entrando nel sapiente gioco della danza trinitaria.