Mi trovavo a parlare con la signora Gina che mi interpellava sul problema delle educazione dei figli. Ne aveva due in casa: Romy, di tre anni e Katia, di cinque.
Mentre stavamo per salutarci, udiamo sul pianerottolo il solito battibecco tra piccoli: è mio, no, è mio… dove al solito interviene la mamma a dirimere la questione dei diritti di proprietà.
Per poter salutare anche i figli, approfitto di questa innocente concitazione per intromettermi tra i due. Con delicatezza, ma con astuzia mi impadronisco del trenino in questione e dico, guardando dritto il piccolo proprietario: “E’ mio”. A queste parole mi sento ribattere con crescente determinazione: “No! È mio!”
Faccio cenno di darlo alla sorellina, ma lui me lo vieta decisamente. “Allora, me lo tengo io” – fingo di risolvere. Un prevedibile rifiuto mi suggerisce la strategica domanda che insegna qualcosa di molto interessante: “Allora a chi lo do?!” Il piccolo senza esitare mi dice: “Dallo alla mamma!”
E’ chiaro che per il piccolo Romy l’unica a far giustizia in casa, l’unica capace di far valere a suo favore ogni suo diritto è ,e non può essere che la mamma. Del resto, chi può essere maggiormente “mio” di mia mamma?”.
Qualunque cosa di mio arrivi alla mia mamma è senz’altro a mio favore: la mamma stessa è proprietà dei figli. Com’è evidente allora che quando ogni mio diritto sta nelle mani di Dio è in buone mani perché “Lui è mio, Lui è mio Papà”.
Ciao da p. Andrea
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