È stata accolta con gratitudine dai lefebvriani la mano tesa offerta ieri da Francesco alla Fraternità San Pio X nella sua lettera per il Giubileo della Misericordia, inviata a mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova Evangelizzazione. Nell’ultimo paragrafo della missiva, il Pontefice, rivolgendo un pensiero “a quei fedeli che per diversi motivi si sentono di frequentare le chiese officiate dai sacerdoti della Fraternità San Pio X”, comunica la decisione “che quanti durante l’Anno Santo della Misericordia si accosteranno per celebrare il Sacramento della Riconciliazione” presso i sacerdoti della comunità, “riceveranno validamente e lecitamente l’assoluzione dei loro peccati”.
Una novità che ha suscitato grande riconoscenza tra i membri della Fraternità fondata dall’arcivescovo tradizionalista Marcel Lefebvre a Friburgo, che in un comunicato definiscono quello del Sommo Pontefice un “gesto paterno”. “Nel ministero del sacramento della penitenza – si legge nella nota – essa si è sempre appoggiata, con assoluta certezza, sulla giurisdizione straordinaria che conferiscono le Normae generales del Codice di Diritto Canonico”. “In occasione di questo anno di conversione – prosegue il comunicato – i sacerdoti della Fraternità San Pio X avranno a cuore di esercitare con una generosità rinnovata il loro ministero al confessionale, seguendo l’esempio di dedizione continua che il Santo Curato d’Ars ha dato a tutti i sacerdoti”.
La disposizione di Bergoglio nasce dalla volontà anzitutto di “non escludere nessuno” dalla Misericordia del Signore che l’Anno Santo vuole celebrare, ma soprattutto a seguito delle sollecitazioni di alcuni vescovi del mondo che riferivano al Papa del “disagio” di alcuni fedeli di “vivere una condizione pastoralmente difficile”. Il pensiero era quindi principalmente per loro; tuttavia – come notava ieri padre Federico Lombardi – la nuova disposizione vuole anche rendere concreta quella ricerca di “soluzioni per recuperare la piena comunione con i sacerdoti e i superiori della Fraternità”, come il Papa stesso auspica nella Lettera.
Comunione che ancora risente dei dissidi del passato, nonostante il ramo d’ulivo porto da Benedetto XVI nel gennaio 2009 con la revoca delle scomuniche ai quattro sacerdoti ordinati vescovi da Lefebvre nel 1988. Tra questi anche lo svizzero Bernard Fellay, attuale Superiore generale.
Andando indietro nel tempo, nella idea di Lefevbre la Società di vita apostolica tradizionalista vedeva la luce non con “un obiettivo di contestazione o di opposizione”, bensì “per una necessità che si è presentata di vigilare sulla buona formazione del sacerdote”. In essa – nata inizialmente come “Convitto internazionale” a Friburgo, divenuta poi un Seminario a Ecône, in Svizzera, visto l’aumento delle domande di ammissione – cercarono ‘rifugio’ quindi tutti quei cattolici disorientati dalla ‘rottura’ con la tradizione rappresentata dal Vaticano II che aveva caratterizzato, tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, alcuni settori della Chiesa e dell’episcopato. Francia e Nord Europa in modo particolare. L’aspetto che emergeva maggiormente dalla neonata comunità era dunque un netto contrasto con i nuovi orientamenti del Concilio, specie in materia di dottrina e liturgia, e anche la forte opposizione a ecumenismo e dialogo interreligioso. Idee che tuttora vigono nella Fraternità.
Negli anni ’70 si verificarono quindi le prime discrepanze, nonostante nel 1971 la comunità San Pio X venne approvata dalla Santa Sede con lettera gratulatoria del cardinale Wright, allora prefetto della Congregazione per il Clero. Lefebvre, dopo aver annunciato che i sacerdoti della FSSPX avrebbero continuato a celebrare Messa secondo il rito di San Pio V (la cosiddetta Messa tridentina), decise di ordinare dei preti formati esclusivamente nel seminario di Ecône senza l’accordo dell’autorità diocesana.
La reazione di Roma fu il ritiro del riconoscimento canonico e l’ordine di chiusura del seminario svizzero, nel 1975, considerando anche l’impronta fortemente conservatrice e la crescente opposizione alle indicazioni conciliari. Lefebvre rifiutò tali disposizioni, e disattese anche la proibizione di ordinare nuovi sacerdoti e di aprire nuove case. Ad inasprire la polemica, poi, le critiche del presule contro la Curia Romana. Tutto ciò richiese l’intervento di Papa Paolo VI attraverso delle lettere personali.
Nel 1976 Marcel Lefebvre fu quindi sospeso a divinis e la FSSPX entrò così ‘in stato di disubbidienza’. Ciò tuttavia non impedì alla casa di Ecône di trovare seguaci in diversi paesi. Nello stesso anno si contavano infatti 140 seminaristi. Il 1978, con l’elezione di Giovanni Paolo II, sembrò poi l’anno della riconciliazione, visto che un mese dopo la sua ascesa al Soglio petrino, il nuovo Papa riceveva Lefebvre. Non solo, l’arrivo a Roma del cardinal Ratzinger nel ruolo di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, mostrava segni di cambiamento: il futuro Benedetto XVI nel suo “Rapporto sulla fede” faceva emergere infatti quelle che parvero a molti come delle ‘affinità’ con le tesi lefebvriane.
Ma le aspettative furono presto disattese e le distanze si marcarono profondamente nel 1986 dopo il Sinodo straordinario e le due iniziative ecumeniche del Papa polacco, ovvero la visita alla Sinagoga di Roma e la Giornata di Preghiera comune con i rappresentanti delle diverse religioni ad Assisi. Eventi che provocarono vivacissime critiche da parte dei seguaci di Lefebvre. Dal 1987, la Santa Sede intraprese tuttavia dei tentativi di conciliazione: nel maggio 1988 si arrivò infatti ad un’intesa, dove comunque veniva imposto il divieto per Lefebvre di consacrare nuovi vescovi.
La ‘tregua’ durò un mese circa: nel giugno dello stesso anno si arrivò alla definitiva rottura. Lefebvre contravvenne al divieto papale e consacrò quattro vescovi a Ecône: Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Galarreta. Ordinazioni valide, ma illecite. L’esito fu la scomunica ufficiale del Vaticano, addolcita dalla pubblicazione del Motu Proprio Ecclesia Dei, con il quale Wojtyla istituì una commissione che aveva il fine di facilitare la piena comunione ecclesiale dei sacerdoti e fedeli legati a Lefebvre con la Chiesa cattolica nel rispetto delle loro tradizioni liturgiche. Nel documento pontificio si invitavano inoltre i vescovi a una più ampia e generosa applicazione dell’indulto per l’uso del messale romano del 1962, già concesso nel 1984.
Questo passo del Pontefice fece sì che negli anni successivi alcuni sacerdoti e fedeli della FSSPX tornassero a Roma desiderosi di acquisire una rinnovata comunione con il Papa. Alcuni preti che celebravano la Messa tridentina, fondarono infatti la Fraternità sacerdotale San Pietro secondo le indicazioni previste dal Motu Proprio, in sintonia quindi con il Santo Padre e con la Chiesa cattolica. Furono tanti i sacerdoti che, dopo la morte di Lefevbre nel 1991, aderirono alla nuova Fraternità, i cui rapporti con Roma sono attualmente regolati dalla commissione pontificia “Ecclesia Dei”, dal titolo proprio della lettera apostolica di Giovanni Paolo II.
Le tensioni si attenuarono comunque durante il pontificato di Benedetto XVI. Il Papa, nell’agosto 2005, ricevette i responsabili della Fraternità, Bernard Fellay e padre Franz Schmidberger, in udienza privata nella villa pontificia di Castel Gandolfo. Al termine del colloquio, un bollettino della Sala stampa della Santa Sede segnalava che l’udienza era avvenuta “in un clima di amore per la Chiesa e di desiderio di arrivare alla perfetta comunione”.
Il Motu Proprio di Ratzinger “Summorum Pontificum” offrì poi nuove possibilità di celebrazione della Messa secondo il rito tridentino. Esso, insieme al documento “Risposte a quesit
i riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa della Congregazione per la dottrina della fede”, voleva facilitare il rientro della Fraternità sacerdotale San Pio X nella Chiesa cattolica e la fine dello ‘scandalo’ dello scisma. I lefebvriani rilanciarono chiedendo la revoca della scomunica, con l’impegno a rispondere entro il 28 giugno 2008 alle proposte presentate per conto di Benedetto XVI dal cardinale Darío Castrillón Hoyos, presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei. Cinque punti in totale da sottoscrivere, chiariti i quali la FSSPX avrebbe potuto rientrare in piena comunione con la Chiesa di Roma.
La revoca avvenne – dopo un rifiuto iniziale – il 21 gennaio 2009, quando Papa Benedetto XVI (non senza suscitare malumori e dissensi all’interno della Chiesa) decise di rimettere la scomunicata mediante un decreto della Congregazione per i vescovi, dove, pur riconoscendo le divergenze teologico-dottrinali e canoniche, espresse la chiara volontà di “consolidare le reciproche relazioni di fiducia e intensificare e dare stabilità ai rapporti della fraternità San Pio X con questa Sede Apostolica”. Il tutto nell’auspicio che questo portasse “al più presto alla completa riconciliazione e alla piena comunione”.
Lo stesso desiderio espresso oggi da Papa Francesco.