Cina: non sarà una crisi passeggera

L’economia del paese è caratterizzata da un’insufficiente sviluppo dei consumi delle famiglie, mentre il debito privato è al 200% del PIL. Le conseguenze rischiano di farsi sentire anche in Occidente

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A parere di chi scrive la crisi cinese non è solo una crisi finanziaria ma ha un aspetto ancor più delicato che probabilmente non mancherà di esplodere già nel prossimo autunno. Nella crisi cinese dobbiamo tenere presente alcuni punti fermi che aiutano nell’analisi degli scenari possibili e che possono cosi riassumersi:

  • il Paese ha adottato un modello di crescita trainata dalle esportazioni (nel 2007 il surplus commerciale è stato pari al 10% del Pil);
  • di fronte al collasso dei principali mercati esteri nel 2008, le autorità cinesi hanno fatto fronte alla crisi internazionale attraverso un mega-stimolo alla domanda interna;
  • l’economia cinese è caratterizzata da un’insufficiente sviluppo dei consumi delle famiglie, il reddito disponibile, infatti, è assorbito per la quasi totalità dalle spese obbligatorie; conseguentemente, l’offerta di moneta (si stima oltre quattromila miliardi di Renminbi yuan, circa 660 miliardi di dollari affluiti all’economia in questi anni) è stato canalizzato verso gli investimenti in infrastrutture, in particolare nel settore del real estate e verso il credito.
  • la parte residua della liquidità immessa nel sistema è affluito nel mercato borsistico, facendo lievitare i prezzi dei titoli quotati, al punto che il valore degli stessi non rispetta i fondamentali.

Dunque l’enorme liquidità pompata dalla banca centrale nel sistema, ha determinato una bolla nel settore immobiliare ed una sul mercato finanziario.

In particolare, circa gli investimenti nel settore del real estate, il ritorno sugli investimenti è stato molto inferiore alle previsioni, spingendo i capitali sul mercato borsistico. Tuttavia, l’enorme numero di investitori presenti nelle borse valori cinesi (Shanghai, Shenzhene Hong Kong) ha dimostrato di muoversi solo su “voci all’acquisto”. Le analisi degli operatori occidentali sembra accreditare una persistente fiducia, pronta però – a parere dello scrivente – a tramutarsi in sfiducia appena si concretizzeranno le perdite degli ultimi acquirenti e, verranno resi pubblici i dati economici delle imprese lì quotate.

Peraltro, se è vero che i mercati finanziari cinesi sono pilotati dalla banca centrale, che effettua operazioni di mercato aperto senza apparenti limiti, potendo quindi intervenire direttamente a sostegno del corso dei titoli, è anche altrettanto certo che la Cina ha un enorme bisogno di capitali, che fino ad ora ha reperito facilmente attraverso consistenti prestiti sui mercati internazionali.

Non essendo il Renminbiyuan una valuta di riserva – obiettivo per ora fallito dalle autorità cinesi – la Cina per finanziarsi chiede denaro in dollari. Per adesso il basso costo del denaro e la svalutazione del dollaro rispetto all’euro ed alle altre monete internazionali, ha permesso di ottenere denaro praticamente gratis.

Le cose stanno però cambiando e la Fed si prepara ad alzare i tassi, dopo averne rinviato l’aumento per buona parte dell’estate. Ciò, come detto, non sarà ininfluente per il mercato finanziario cinese.

Tenuto conto di quanto sopra, ciò che deve spaventare le economie occidentali è, dunque, l’enorme debito privato accumulato, che ha raggiunto il livello del 200% del Pil.

Le esperienze del passato insegnano che una crisi finanziaria è “in maturazione” quando il debito privato, in un paese, supera la soglia del 150% del Pil aumentando circa del 20% del Pil o più nell’arco di un quinquennio.

Dal punto di vista dell’economia reale, invece, sarà più problematico contenere la crisi, poiché molti sono i canali mediante i quali il rallentamento dell’attività in Cina spingerà alla contrazione le economie del resto del mondo.

Principalmente è facile prevedere una caduta delle importazioni, che toccherà sia le economie che forniscono alla Cina semilavorati ed intermedi (paesi del sud-est asiatico), sia le economie Occidentali, in particolare quella tedesca, che forniscono in grande quantità automobilistici, farmaceutici, meccanici, beni di consumo.  È possibile anche una  caduta nelle esportazioni, riducendosi gli approvvigionamenti del resto del mondo dalla Cina, conseguenza dell’aumentata crisi interna.

Anche gli investimenti diretti sono destinati a cadere in entrambe le direzioni: dal resto del mondo verso la Cina perché il ridimensionamento della crescita produttiva cinese li renderà meno attraenti e dalla Cina verso il resto del mondo, perché il ridimensionamento della crescita produttiva genera meno capitale disponibile per l’impiego all’estero.

Dunque sembra non lontana una crisi, che certo non potrà non avere conseguenze in Occidente, con buona pace di tutti coloro che vedono solo nuvolette passeggere…

 

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Enea Franza

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