È un cammino scandito da punti-chiave quello che delinea il Papa alla comunità della Pontificia Accademia Ecclesiastica, l’istituzione che ha “messo la vita a disposizione della Chiesa e della Santa Sede”, preparando i sacerdoti al servizio diplomatico per “rappresentarla presso la Comunità delle Nazioni e nelle Chiese locali”.
Primo punto è la “missione”, dice Francesco, ricordando la natura stessa della Santa Sede, quale dimora del Vescovo di Roma, “Chiesa che presiede nella carità, che non si siede sul vano orgoglio di sé, ma sul coraggio quotidiano della condiscendenza – ossia dell’abbassamento – del suo Maestro”.
“La vera autorità della Chiesa di Roma è la carità di Cristo”, afferma il Pontefice. Questa – dice – è la sua “forza” che “la rende universale e credibile per gli uomini e il mondo”. Questa è “il cuore della sua verità”, perché “non erige muri di divisione e di esclusione, ma si fa ponte che costruisce la comunione e richiama all’unità del genere umano”. Questa è “la sua segreta potenza”, che “alimenta la sua tenace speranza, invincibile nonostante le momentanee sconfitte”.
Perciò i futuri rappresentanti pontifici sono chiamati a “rispecchiare i tratti” del volto di Cristo, non “ad essere alti funzionari di uno Stato, una casta superiore auto-preservante e gradita ai salotti mondani”. Proprio questo è il secondo punto: essere “custodi di una verità che sostiene dal profondo coloro che la propongono, e non il contrario”, evidenzia il Santo Padre.
È importante, perciò, non lasciarsi “inaridire dai continui spostamenti”, anzi, ammonisce il Papa, “occorre coltivare radici profonde, custodire la memoria viva del perché si è intrapresa la propria strada”. Tantomeno ci si può lasciar “svuotare dal cinismo”, o ancora peggio “consentire che si sbiadisca il volto di Colui che è alla radice del proprio percorso”.
Papa Francesco affronta quindi un terzo punto, quello della inculturazione. “La preparazione specifica che vi offre l’Accademia è mirata a far crescere le realtà che incontrerete, amandole anche nella pochezza che forse dimostrano”, dice. I diplomatici del domani si preparano, infatti, “a diventare ‘ponti’, pacificando e integrando nella preghiera e nel combattimento spirituale, le tendenze ad affermarsi sopra gli altri, la presunta superiorità dello sguardo che impedisce l’accesso alla sostanza della realtà, la pretesa di sapere già abbastanza”.
Per fare ciò è necessario “non trasporre i propri schemi di comprensione, i propri parametri culturali, i propri retroterra ecclesiali” nell’ambito in cui si opera, bensì “tutelare la libertà della Sede Apostolica”. Essa, “per non tradire la sua missione davanti a Dio e per il vero bene degli uomini”, aggiunge Bergoglio, “non può lasciarsi imprigionare dalle logiche delle cordate, farsi ostaggio della contabile spartizione delle consorterie, accontentarsi della spartizione tra consoli, assoggettarsi ai poteri politici e lasciarsi colonizzare dai pensieri forti di turno o dall’illusoria egemonia del mainstream”.
Voi – ribadisce il Papa ai rappresentanti pontifici – “siete chiamati a cercare, nelle Chiese e nei popoli in mezzo ai quali esse vivono e servono, il bene che va incoraggiato”. Missione che si può realizzare solo deponendo “l’atteggiamento di giudice” e indossando invece “l’abito del pedagogo”, di colui “che è capace di far uscire dalle Chiese e dai suoi ministri le potenzialità di bene che Dio non manca di seminare”.
“Vi esorto a non aspettare il terreno pronto – esorta ancora Francesco – ma ad avere il coraggio di ararlo con le vostre mani – senza trattori o altri mezzi più efficaci di cui non potremo mai disporre – per prepararlo alla semina, aspettando, con la pazienza di Dio, il raccolto, di cui forse non sarete voi a beneficiare”. Vi esorto – soggiunge – “a non pescare negli acquari o negli allevamenti, ma ad avere il coraggio di scostarvi dai margini di sicurezza di quanto già si conosce e gettare le reti e le canne da pesca in zone meno scontate, senza adattarsi a mangiare pesci preconfezionati da altri”.
Ciò che invoca il Papa sono dunque “pastori autentici”, “con l’inquietudine di Dio e con la mendicante perseveranza della Chiesa, che senza stancarsi sa che ci sono, perché Dio non li fa mancare”. E questa vocazione – conclude – verrà portata in tutte le parti del mondo: “In Europa, bisognosa di svegliarsi; in Africa, assetata di riconciliazione; in America Latina, affamata di nutrimento e interiorità; in America del Nord, intenta a riscoprire le radici di un’identità che non si definisce a partire dalla esclusione; in Asia e Oceania, sfidate dalla capacità di fermentare in diaspora e dialogare con la vastità di culture ancestrali”.
Il Pontefice affida tale cammino alla Vergine Maria, perché “vi insegni quel profondo amore per la Chiesa che vi sarà tanto necessario e proficuo nella missione che vi attende. Tutta la vostra vita è al servizio del Vangelo e della Chiesa. Non dimenticatelo mai!”.