Nel centenario dell’entrata in guerra dell’Italia molta attenzione è stata data alle vicende drammatiche e per tanti aspetti gravide di futuro del primo conflitto mondiale. Ricorrono tuttavia quest’anno anche i settant’anni della fine della seconda guerra mondiale, che ha inciso in maniera non meno tragica e determinante sugli assetti del nostro Paese, dell’Europa e del mondo intero.
Nei mesi scorsi la ricorrenza è stata celebrata in rapporto alle diverse date di conclusione del conflitto nei vari Paesi che esso investì. Quel che mi sembra importante, però, è far memoria di questo anniversario non solo per non dimenticare l’“inutile strage” e le responsabilità di chi ne fu promotore, ma anche perché non siano ripetuti gli errori che allora furono commessi e che una propaganda ben orchestrata fece risultare frutto di un grande consenso popolare, via via trasformatosi in tragica disillusione e nell’enorme prezzo di sangue e di morte pagato da tantissimi innocenti.
Due registi e autori televisivi e di teatro, Anna Cavasinni e Fabrizio Franceschelli, hanno voluto rispondere a questa sfida con un paziente lavoro, che si è protratto per un intero decennio, ricostruendo in una serie di documentari video (cfr. www.territorilink.it) le vicende della seconda guerra mondiale dal punto di vista della gente, soprattutto della povera gente di regioni tranquille come l’Abruzzo, coinvolte nel conflitto sia attraverso il tributo di tante giovani vite sacrificate alla follia bellica, sia con il prezzo pagato quando la linea del fronte fra Alleati e Tedeschi si stabilì lungo il fiume Sangro, che dagli Appennini scende verso il mare Adriatico.
La Guerra in Casa è il titolo dato a questa serie di ricostruzioni, in cui un posto preponderante hanno le testimonianze dirette di donne e uomini che – allora giovani – furono involontari protagonisti e testimoni oculari del dramma che si andava consumando a causa dell’ennesimo rigurgito di assurdità ideologica e di velleità politica e militare.
Principio ispiratore della ricerca condotta dai due Registi è una precisa scelta di pace: essi intendono ricordare quanto allora avvenne perché non si perda la memoria della barbarie che la guerra è stata ed è sempre e ciò che allora è stato possibile non si ripeta mai più. In particolare, è loro intento raggiungere le giovani generazioni, che non hanno quasi consapevolezza di che cosa abbiano sofferto i loro nonni e di quali gravissime responsabilità ci siano state a monte di quelle sofferenze. Quella guerra che era stata scatenata in nome di un anacronistico e assurdo sogno di dominio nel giugno del 1940, si era rivolta contro popolazioni non ostili, inizialmente facile preda della violenza ostentata. In realtà, però, in breve tempo il progetto di conquistare il bacino del Mediterraneo si ritorse contro chi lo aveva concepito, sopraffacendo la nostra gente con una violenza che nessuno avrebbe mai potuto immaginare.
Alle ambizioni di chi entrava in guerra vantando baionette, trincee e cariche di cavalleria, risposero eserciti ben organizzati, dotati di strategie moderne e di mezzi già allora spaventosamente efficaci. La spregiudicatezza e la stupidità del sogno ideologico, mascherato sotto i più altisonanti proclami di amore alla patria e ai suoi destini, si scontrava con la realtà e si traduceva per un numero impressionante di civili, donne, vecchi, bambini, in un’esperienza di spietatezza disumana. Il vertice di questa lacerante distanza fra le logiche dei potenti che avevano voluto la guerra e la realtà degli umili che ne pagavano l’altissimo prezzo si toccò in imprese folli quali la campagna di Russia, che mandò allo sbaraglio e alla morte tantissimi nostri giovani, e nei tragici colpi di coda connessi all’avanzata del fronte alleato e al ritiro carico di risentimento e di volontà di vendetta dell’armata germanica.
Le storie raccolte dalla viva voce dei testimoni di allora dai due Registi presentano con singolare efficacia il prezzo di lacrime e sangue che la povera gente pagò a questi disegni di lucida follia, soffermandosi su un campionario ristretto e tuttavia di grande eloquenza: quello dell’Abruzzo montanaro e contadino, dove la guerra arrivò in tutta la sua violenza quando ormai si sperava ingenuamente che fosse al termine. Quella Regione era stata fino ad allora piuttosto fuori dei grandi flussi politici e militari, proprio per la sua particolare collocazione geografica. Per questa ragione era stata anche designata quale area particolarmente adatta ad accogliere i campi d’internamento.
Ci s’illudeva, insomma, che in quelle terre la guerra non sarebbe mai arrivata. Non fu così: e come in un brutale risveglio gli Abruzzesi conobbero “la guerra in casa”. Intere famiglie furono distrutte, la fisionomia di vari paesi e città fu sconvolta da distruzioni e violenze, che non risparmiarono neanche le zone rurali. Uno scrittore efficace come Giovanni D’Alessandro ha saputo ancora recentemente raccontare quel clima di tragedia e di morte piombato su tanti umili del tutto impreparati ad esso (ad esempio nel romanzo La puttana del Tedesco). Il lavoro della Cavasinni e di Franceschelli, che ha toccato più di quaranta comuni, ha il merito di raccogliere attraverso oltre trecento interviste la voce di chi la guerra la visse “in casa”, persone che hanno risposto con commovente partecipazione all’invito a ricordare. Quella gente ha ospitato e aiutato i due Registi per le loro ricerche, raccontando con vivacità e commozione la tragedia vissuta, anche a nome dei tanti che persero la vita a causa di quegli eventi drammatici.
Un messaggio decisivo emerge da tutte queste voci e dalle immagini vivissime che le accompagnano: la guerra non è una semplice fatalità; essa non è mai un valore, né un sacrificio nobile, richiesto in vista di altissimi scopi. Piuttosto, le scelte belliche sono frutto di calcoli di potere, di precise avidità, di ambizioni senza scrupoli, e richiedono costi altissimi, pagati per lo più dai poveri, trascinati nelle vicende di guerra senza neanche comprendere perché. Il monito che si potrebbe trarre da questi bellissimi documentari, già trasmessi più volte sui canali RAI, si può riassumere in queste parole essenziali: mai più la guerra! Mai più credere alle menzogne di chi spaccia l’esperienza bellica come via per la soluzione dei conflitti. Mai più fidarsi di chi propone mete collettive raggiungibili solo a scapito di altri popoli e nazioni, indicando nella lotta armata la via per imporre la propria volontà di dominio sugli altri.
Alternativa alla scelta della violenza e della guerra è solo il dialogo, da cercare sempre, ostinatamente, ispirandolo a criteri di verità e di giustizia validi per tutti, dalla forte esigenza morale. Il futuro dell’umanità e la pace nel rispetto di tutti, insomma, potranno costruirsi solo nel no deciso a ogni violenza e nel sì altrettanto deciso alla via negoziale e alla cooperazione responsabile, eticamente ispirata, voluta da parte di tutti. E se a volte saranno necessari profeti che cerchino la giustizia e la pace senza nulla chiedere in cambio, soltanto per amore del bene comune, a tutti e a ciascuno sarà chiesto di schierarsi dalla parte delle vie pacifiche, certamente esigenti, necessarie alla costruzione dell’equità, quale fondamento della stabilità dei rapporti fra gli uomini e della fecondità della collaborazione di tutti nel rispetto di ciascuno. È quanto ha voluto ricordare Papa Francesco nel suo recente viaggio a Sarajevo, la “Gerusalemme d’Europa”. Un messaggio di cui c’è immenso bisogno e che va trasmesso con particolare chiarezza e determinazione alle giovani generazioni, protagoniste del futuro, anche grazie a immagini e parole come quelle raccolte dai due bravi e coraggiosi Autori de “La guerra in casa”.
***
Fonte: Il S
ole 24 Ore, domenica 14 giugno, pp. 1 e 16