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Gallagher: "Consiglio d'Europa tuteli libertà religiosa al pari di tutti gli altri diritti umani"

Il segretario per i Rapporti con gli Stati è intervenuto ieri a Strasburgo, al seminario organizzato dalla Missione permanente vaticana presso il Consiglio d’Europa, in vista del convegno di Sarajevo dell’8-9 settembre

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“La promozione e la tutela del diritto alla libertà di religione è un compito fondamentale degli Stati e delle organizzazioni internazionali. La libertà di religione non deve essere intesa come una cosa estrinseca: proprio come per ogni diritto fondamentale, c’è un collegamento stretto e vitale tra questo e altri diritti fondamentali, con i quali forma un insieme coerente che rispecchia la dignità intrinseca della persona umana”.
 
È uno tra i passaggi più forti del discorso che l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, ha pronunciato lunedì scorso, a Strasburgo, in occasione del seminario sul tema «Costruire insieme società inclusive: contributi verso l’incontro di Sarajevo sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale». L’evento è organizzato dalla Missione permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa in vista del convegno che si terrà nella capitale della Bosnia ed Erzegovina, su iniziativa dello stesso organismo europeo, l’8 e il 9 settembre.
 
Nel suo intervento – riportato in ampi stralci da L’Osservatore Romano – il presule ha concentrato la sua attenzione sui diritti umani, spiegando che “talvolta può esserci tensione nell’esercizio di uno di questi diritti quando esso appare in contrasto con un altro”, come per esempio nel caso del diritto alla libertà di parola e del diritto al rispetto delle proprie convinzioni religiose. In alcuni casi, ha spiegato, “è inevitabile che lo Stato debba individuare soluzioni che cerchino di trovare un giusto compromesso”.
 
Tuttavia, “se i diritti umani individuali sono l’espressione della dignità della persona umana, allora i diritti umani non possono essere in contrasto tra loro”, ha chiarito Gallagher. Sarebbe “errata”, infatti, la percezione che i diritti fondamentali possano essere in conflitto diretto tra loro; piuttosto, sono “i titolari di questi diritti” a dover “imparare ogni giorno a comprendere i diritti che hanno in comune con gli altri”.  
 
In quest’ottica, secondo l’arcivescovo, “le istituzioni internazionali sono chiamate non solo a combattere ogni discriminazione nei confronti delle credenze religiose, ma anche, da una prospettiva positiva, a promuovere la libertà di religione”. In modo particolare, ha affermato: “La tutela e la promozione della libertà di religione allo stesso livello di tutti gli altri diritti fondamentali, è un compito pertinente a un’istituzione come il Consiglio d’Europa, che ha proprio come sua ragione d’essere la salvaguardia e la promozione dei diritti umani”. 
 
Di fatto, la libertà di religione è “strettamente collegata” a molti altri aspetti della tutela dei diritti umani: la non discriminazione; l’educazione a scuola e in famiglia; la bioetica, la cittadinanza democratica. O a campi quali la prevenzione della radicalizzazione e del terrorismo; il trattamento dei detenuti; il delicato rapporto tra libertà di espressione e rispetto della sensibilità religiosa; e molti altri ancora.
 
Pur ricordando le numerose occasioni in cui la tutela del diritto alla libertà religiosa è stato oggetto di attenzione presso diverse istituzioni del Consiglio d’Europa, mons. Gallagher si è tuttavia domandato se tutto questo sia sufficiente “dinanzi alle crescenti sfide che emergono dalle società multipolari”. “La Santa Sede – ha proseguito – sulla base del principio sopra citato dell’indivisibilità e dell’interdipendenza dei diritti fondamentali, e consapevole dell’importanza del ruolo del Consiglio d’Europa, è convinta che il diritto alla libertà di religione dovrebbe sempre essere oggetto di particolare attenzione; allo stesso tempo, dovrebbe essere introdotto e integrato in tutte le attività e riflessioni più importanti riguardanti i diritti umani”.
 
Al contempo, il Vaticano “ha sempre appoggiato le occasioni di dialogo tra le autorità civili e i leader religiosi”, in quanto esso “può contribuire alla ricerca di quell’armonia costruttiva, libera da qualsiasi limitazione, della quale ha parlato Papa Francesco”. “Riconoscere il giusto ruolo che le religioni svolgono nel dialogo interculturale e mantenere con le religioni un dialogo aperto e trasparente è importante anche da un punto di vista meramente politico – ha affermato il presule -. Nel contesto di società multipolari, se le religioni non sono parte della soluzione possono facilmente diventare parte del problema”.
 
Volgendo poi lo sguardo a Sarajevo, luogo che ospiterà il seminario – visitato da Papa Francesco lo scorso 6 giugno – il segretario per i Rapporti con gli Stati ha ricordato il desiderio di Giovanni Paolo II di visitare la capitale bosniaca nel settembre 1994, con la guerra ancora in corso. Il viaggio venne poi cancellato per motivi di sicurezza e solo tre anni dopo il Pontefice polacco riuscì a recarvisi.
 
Nel ’94, però, l’8 settembre, il Papa celebrò un’appassionata Messa a Castel Gandolfo, trasmessa in diretta a Sarajevo, durante la quale affermò: «La storia degli uomini, dei popoli e delle nazioni è piena di reciproci rancori e di ingiustizie. Quanta importanza ha avuto la storica espressione rivolta dai vescovi polacchi ai loro confratelli tedeschi […]: ‘Perdoniamo e chiediamo perdono!’. Se in quella regione d’Europa si è potuta avere la pace, sembra proprio che ciò sia avvenuto grazie all’atteggiamento efficacemente espresso da tali parole”.
 
“Non è irrilevante”, ha osservayo Gallagher, il fatto che Giovanni Paolo II “rivolgendosi a una Sarajevo segnata dalla guerra, abbia ricordato le parole di una lettera memorabile del 1965, inviata dai vescovi polacchi ai loro fratelli tedeschi al termine del concilio Vaticano II. Karol Wojtyła stesso aveva contribuito a quella lettera, che espose l’episcopato polacco alle critiche del suo Governo e di alcuni suoi fedeli. Anche se è vero che la storia d’Europa è stata talvolta caratterizzata da conflitti religiosi, più di recente le confessioni religiose hanno contribuito in modo significativo alla riconciliazione tra popoli”. 
 
“‘Perdoniamo e chiediamo perdono: sono parole coraggiose”, ha soggiunto, “parole che la Chiesa cattolica pronuncia ancora oggi e che aiuta a far pronunciare ai suoi fedeli”. “Non è una richiesta fatta con leggerezza”, soprattutto oggi, in un momento in cui tanti cristiani nel mondo “stanno pagando un prezzo altissimo per la loro fedeltà a ciò che credono”. Sappiamo però che, ancora oggi, “il dialogo tra le religioni può dare un grande contributo alla riconciliazione”, ha affermato mons. Gallagher.
 
Papa Francesco, infatti, visitando sabato scorso la città bosniaca, ha esortato proprio ad un solido dialogo interreligioso, che a Sarajevo, come in ogni parte del mondo, “è una condizione imprescindibile per la pace, e per questo è un dovere per tutti i credenti”, nonché “una scuola di umanità e un fattore di unità, che aiuta a costruire una società fondata sulla tolleranza e il mutuo rispetto”.

 
“Ciò che appare senza speranza, con l’aiuto di Dio può ancora essere realizzato”, ha assicurato quindi il segretario per i Rapporti con gli Stati: “È così che è stato nella storia recente — basti pensare alla fondazione del Consiglio d’Europa — e così può essere oggi, guarendo le ferite di questo continente e quelle ancora aperte in tutto il mondo”.
 
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ZENIT Staff

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