Pope Francis celebrates a Mass at the Kosevo stadium

ANSA

Dallo stadio Koševo, il grido di Bergoglio: "Pace! Mai più la guerra!"

Come Wojtyla, Francesco esorta il popolo bosniaco a costruire la pace “artigianalmente”, nonostante c’è chi fomenta un “clima di guerra” per speculare e vendere armi

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“Pace a voi. Pace a voi, uomini e donne di Sarajevo! Pace a voi, abitanti della Bosnia ed Erzegovina! Pace a voi, Fratelli e Sorelle di questa amata terra!”. Difficile dimenticare il grido di Giovanni Paolo II nella storica Messa del 13 aprile 1997 a Sarajevo, celebrata, a guerra appena finita, in uno stadio Koševo ricoperto di neve.

Un grido che trova riverbero oggi, dopo 20 anni, sulle labbra di Papa Bergoglio, che nello stesso stadio, da un altare semplice, bianco e giallo, attorniato da 60mila fedeli, invoca ancora lo spirito di pace su una terra che a fatica è riuscita a suturare le ferite della guerra che, negli anni ’90 del secolo scorso, ha sconvolto i Balcani.

Alcuni testimoni di quell’orrore sono presenti alla Messa del Pontefice, i feriti e i mutilati del conflitto, sistemati in un settore speciale per ricevere conforto dal Successore di Pietro. A loro, ma anche a tutti i bosniaci, Francesco rivolge solo una parola, la “parola profetica per eccellenza”: pace.

Pace che “è il sogno di Dio, è il progetto di Dio per l’umanità, per la storia, con tutto il creato”, dice, ma che “incontra sempre opposizione da parte dell’uomo e da parte del maligno”. Specie nel nostro tempo dove questa aspirazione e l’impegno per costruire la pace si scontrano con i numerosi conflitti armati in atto nel mondo. “È una sorta di terza guerra mondiale combattuta ‘a pezzi’”, ribadisce il Santo Padre e osserva che “nel contesto della comunicazione globale, si percepisce un clima di guerra”. 

Un clima creato e fomentato “deliberatamente” da coloro “che cercano lo scontro tra diverse culture e civiltà”, o da quelli “che speculano sulle guerre per vendere armi”, denuncia il Papa. Questi, però, dimenticano che guerra “significa bambini, donne e anziani nei campi profughi; significa dislocamenti forzati; significa case, strade, fabbriche distrutte; significa soprattutto tante vite spezzate”. E la gente di Sarajevo questo lo sa bene, perché lo ha sperimentato proprio qui: “Quanta sofferenza, quanta distruzione, quanto dolore!”, dice il Papa.

In questo clima oscuro, tuttavia, la parola di Gesù nel Vangelo «Beati gli operatori di pace» risuona “come un raggio di sole che attraversa le nubi”. E dalla bocca di tutti gli uomini e le donne di buona volontà si leva un vigoroso appello: “Mai più la guerra!”. 

“È un appello sempre attuale, che vale per ogni generazione”, afferma il Santo Padre. Cristo, aggiunge, “non dice ‘Beati i predicatori di pace’: tutti sono capaci di proclamarla, anche in maniera ipocrita o addirittura menzognera. No. Dice: «Beati gli operatori di pace», cioè coloro che la fanno”. Fare la pace è infatti “un lavoro artigianale”, che richiede “passione, pazienza, esperienza, tenacia” e anche “atteggiamenti e gesti di servizio, di fraternità, di dialogo, di misericordia…”, da portare avanti “tutti i giorni, passo dopo passo, senza mai stancarsi”.

Ma come si fa? Come si costruisce la pace? Il Papa cita il profeta Isaia: «Praticare la giustizia darà pace». “Opus iustitiae pax”, secondo la versione della Vulgata diventata un celebre motto, adottato anche profeticamente da Pio XII. “La pace è opera della giustizia”, sottolinea il Pontefice. “Anche qui – rileva – non è una giustizia declamata, teorizzata, pianificata… ma la giustizia praticata, vissuta. E il Nuovo Testamento ci insegna che il pieno compimento della giustizia è amare il prossimo come sé stessi”.

Parafrasando, le parole di Bergoglio rimarcano quel: “Offri il perdono, ricevi la pace”, pronunciato decenni fa da Wojtyla. “Quando, con la grazia di Dio, noi seguiamo questo comandamento, come cambiano le cose! Perché cambiamo noi!” dice il Papa argentino, “quella persona, quel popolo, che vedevo come nemico, in realtà ha il mio stesso volto, il mio stesso cuore, la mia stessa anima. Abbiamo lo stesso Padre nei cieli”.

Allora la vera giustizia “è fare a quella persona, a quel popolo, ciò che vorrei fosse fatto a me, al mio popolo”. Questo è l’atteggiamento per essere “‘artigiani’ di pace nel quotidiano, là dove viviamo”. Non illudiamoci però – precisa il Santo Padre – che questo dipenda solo da noi: “Cadremmo in un moralismo illusorio. La pace è dono di Dio, non in senso magico, ma perché Lui, con il suo Spirito, può imprimere questi atteggiamenti nei nostri cuori e nella nostra carne, e fare di noi dei veri strumenti della sua pace”. E l’uomo, solo “se si lascia riconciliare con Dio”, “può diventare operatore di pace”.

Papa Francesco si congeda dall’enorme stadio chiedendo ai fedeli di pregare il Signore per ricevere “la grazia di avere un cuore semplice, la grazia della pazienza, la grazia di lottare e lavorare per la giustizia, di essere misericordiosi, di operare per la pace, di seminare la pace e non guerra e discordia”. Solo questo, conclude, “è il cammino che rende felici, che rende beati”.

 

 

 

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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