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Parolin: "Il Papa pellegrino di dialogo e pace nella 'Gerusalemme d'Europa'"

Il Segretario di Stato spiega al Ctv il significato della visita del Pontefice a Sarajevo, sabato 6 giugno

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“Il Papa va in quella città che San Giovanni Paolo II ha definito la ‘Gerusalemme d’Europa’ come pellegrino di dialogo e di pace”. Così il Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, in un’intervista al Centro Televisivo Vaticano (Ctv), sintetizza il significato del prossimo 6 giugno, quando Francesco si recherà a Sarajevo, per il suo ottavo viaggio apostolico internazionale.

Con questa visita, spiega Parolin, il Papa “intende prima di tutto incoraggiare i fedeli cattolici che vivono in Bosnia ed Erzegovina; e poi, suscitare fermenti di bene in quella terra e promuovere tutto quello che favorisce l’amicizia, la fraternità, il dialogo interreligioso fra le varie componenti del Paese; e la pace”.

Temi, questi, ripresi sia dal logo, sia dal motto di questo viaggio, fa notare il porporato: “Nel logo – dice – vediamo una colomba, che tiene nel becco il ramoscello della pace; poi c’è la croce, che al suo interno ha un triangolo, che richiama – in modo stilizzato – i confini della Bosnia; i colori sono quelli della bandiera del Paese; e poi c’è un richiamo anche alla comunità cattolica, che è composta in maggioranza da croati. E il motto: ‘La pace sia con voi’, il saluto di Gesù risorto ai suoi apostoli”. 

La capitale bosniaca risente infatti delle conseguenze della guerra che ha colpito l’intero paese negli anni ’90. “Questa guerra continua ancora a lasciare le sue tracce, le sue ferite”, afferma il Segretario di Stato, in particolare nella comunità cattolica, che, in 20 anni, si è praticamente “dimezzata” passando da 800 mila a 400 mila persone. “Ormai – aggiunge – in alcune parrocchie non restano che poche famiglie, e soprattutto anziani. Oggi si registra soprattutto il fenomeno dell’emigrazione dei giovani, causata dalla disoccupazione, dalla mancanza di lavoro e dalla ricerca di prospettive migliori in altri ambienti. E poi c’è anche un generale calo della demografia, che colpisce in maniera particolare la comunità cattolica”.

Il cardinale parla inoltre di una “complessità nella struttura politica di questo Paese”, frutto degli Accordi di Dayton, che si manifesta nella convivenza di tre etnie costitutive: bosniaci, serbi e croati, e che – a livello di strutture – si esprime attraverso la convivenza di queste tre realtà che sono da una parte la Federazione Bosniaca, la Repubblica Srpska e il Distretto di Brčko.

Tutti, comunque – assicura Parolin – “aspettano il Papa con tanta ansia e con tanta speranza, e davvero confidano che lui potrà aiutare a fare della Bosnia ed Erzegovina una casa accogliente per tutti i suoi abitanti”.

Sottolineando che la Chiesa a Sarajevo, “pur tra le difficoltà, continua a svolgere la sua missione, a compiere la sua missione di annuncio del Vangelo e di carità nei confronti di tutte le persone”, il primo ministro vaticano rileva un altro aspetto della Bosnia ed Erzegovina “di grande importanza”: ovvero “la necessità di realizzare una sostanziale uguaglianza tra tutti i cittadini e tra tutte le fasce sociali, culturali e politiche che compongono il Paese, in modo tale che tutti si sentano a pieno titolo cittadini con la loro identità specifica, indipendentemente dal numero”.

“Questa – aggiunge – credo che sia una condizione, per quanto riguarda la Bosnia ed Erzegovina, che potrà senz’altro aiutare la pace. E naturalmente questo, con l’aiuto anche della comunità internazionale, che è presente nel Paese a livello di organizzazioni internazionali, potrà favorire anche le naturali aspirazioni della Bosnia ed Erzegovina di integrarsi nell’Unione Europea”.

In questo senso, secondo il porporato, il paese potrebbe diventare “un esempio” anche per quelle tante situazioni che oggi esistono nel mondo “dove non si riesce a coniugare e ad accettare le diversità, che diventano motivo di conflitto e di contrasto e di contrapposizione, invece che di ricchezza reciproca”. L’auspicio è quindi che questo viaggio del Papa “non solo contribuisca al bene e al miglioramento della situazione in quel Paese, ma che sia anche un invito a tutti gli uomini e a tutti i Paesi a ritrovare le ragioni della pace, della riconciliazione e del progresso, umano, spirituale e materiale”.

 
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ZENIT Staff

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