Era l’ottobre 2013, quando il naufragio di un barcone carico di migranti al largo di Lampedusa provocò la morte di almeno 366 persone. Dopo quella tragedia l’Italia si accorse della gravità del problema e decise di correre ai ripari. Fu così avviata l’Operazione Mare Nostrum, con lo scopo di prestare soccorso agli immigrati che in imbarcazioni fatiscenti cercano di attraversare il Canale di Sicilia dalle coste libiche. Si stima che 156mila vite siano state salvate grazie a Mare Nostrum, dall’ottobre 2013 al 1° novembre 2014, data in cui l’Operazione ha avuto fine.
Al suo posto è subentrato il programma dell’Unione europea denominato Triton, che tuttavia si differenzia da Mare Nostrun poiché si limita a controllare le frontiere del Mediterraneo e non a soccorrere i barconi. È parere diffuso che sia questa la causa della nuova ecatombe che si è consumata ieri nel Canale di Sicilia, dove circa 330 migranti sono stati inghiottiti dal mare dopo essersi imbarcati su quattro gommoni partiti dalla Libia.
Ed ora sono in tanti – dall’Onu alle Istituzioni italiane – a definire Triton inadeguata e a invocare il ripristino di un’operazione finalizzata a salvare vite umane, il cui peso venga però equamente distribuito tra i Paesi europei. Chi caldeggia questa ipotesi da tempo è don Mussie Zerai, prete eritreo presidente dell’agenzia umanitaria Habeshia, che da anni aiuta chi fugge da guerre, persecuzioni, dittature, terrorismo e miseria. Il suo impegno gli è valso quest’anno la candidatura al Premio Nobel per la Pace.
“C’è un rapporto di causa ed effetto tra questa tragedia e la fine di Mare Nostrum”, afferma a ZENIT don Zerai, il quale in questi giorni è in Italia. “Ora – spiega ancora – se si consuma un incidente in acque internazionali, nessuno interviene, a meno che non si trovi fortuitamente in quei pressi qualche mercantile che decide di prestare il primo soccorso…”.
Secondo il sacerdote eritreo, la soluzione “tampone” per interrompere lo stillicidio di morte nel mar Mediterraneo consiste nel “dare un mandato a Triton simile a quello di Mare Nostrum”, ossia “vanno ampliati gli spazi che quest’operazione deve coprire (finora si limita a 30miglia dalla costa italiana, ndr) e va modificato il suo ruolo: non più solo sorveglianza ma anche soccorso”.
L’intervento che auspica don Zerai va attuato con una certa solerzia, in quanto è lui stesso a lanciare l’allarme: “Almeno 600 persone partiranno nei prossimi giorni dalla Libia, stipate come sempre sui gommoni. Sono in contatto telefonico con loro: sono rinchiusi in un capannone presso Tripoli e i miliziani gli hanno comunicato che li costringeranno a partire entro sabato”. Si tratta di persone proveniente dal Corno d’Africa, in gran parte eritrei, connazionali di don Zerai.
Dalle sue parole emerge che sono tenuti in scacco da quelli che chiama “miliziani”. La situazione d’instabilità politica venutasi a creare in Libia a seguito della guerra del 2011 ha favorito le attività di aguzzini che si arricchiscono sulla pelle dei disperati? Don Zerai non ha dubbi: “Assolutamente sì. Il traffico di migranti è ora senza controllo; è in mano a queste milizie che sfruttano ingenti masse di migranti facendosi pagare 1.800 dollari a persona e decidendo come e quando farli partire”.
Don Zerai non risparmia una critica all’Occidente, reo di aver provocato il caos libico. “L’intervento militare nel 2011 – dice – si è limitato a rovesciare il regime di Gheddafi, ma a mio avviso andava completato finché la situazione politica non si fosse stabilizzata con l’instaurazione di un governo in grado di controllare tutto il territorio”.
Oggi, un nuovo intervento militare “non sarebbe efficace”, piuttosto getterebbe ulteriore benzina su un fuoco, qual è la Libia, che si compone di innumerevoli fiamme. “È già in atto l’infiltrazione di gruppi che si ispirano all’Isis e che si contendono tra loro il controllo del territorio e delle risorse naturali – spiega don Zerai -. Frapporsi in uno scenario così confuso sarebbe improponibile”.
Piuttosto, potrebbe rivelarsi utile intervenire alla radice del problema, ossia nei luoghi da cui fuggono la maggior parte delle persone che si imbarcano poi alla volta dell’Italia dalle coste libiche. A tal proposito, negli ultimi mesi il Governo italiano sembra aver intensificato i contatti con i Paesi del Corno d’Africa. Ma un velo di scetticismo copre il volto di don Zerai, che commenta: “In quei Paesi esistono regimi sanguinari, per cui dialogare con loro diventa difficilmente credibile”.
A meno che non si facciano “fortissime pressioni economiche”, dice don Zerai. Il quale aggiunge: “Se non si interviene alla radice, sarà velleitario ogni tipo di accordo bilaterale con i Paesi del Nord-Africa, poiché questi ultimi continueranno ad essere travolti dal flusso di migranti proveniente dall’Africa sub-sahariana”. E il Mediterraneo inghiottirà ancora vite umane.