Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche della V Domenica del Tempo Ordinario (Anno B), 8 febbraio 2015.
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Il giorno di sabato di Cristo: pregare, guarire, predicare e ancora pregare
Rito Romano
V Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 8 febbraio 2015
Gb 7,1-4.6-7; Sal 146; 1Cor 9,16-19.22-23; Mc 1,29-391
Rito Ambrosiano
Penultima Domenica dopo l’Epifania – detta “della divina clemenza”
Os 6,1-6; Sal 50; Gal 2,19-3,7; Lc 7,36-50
1) La giornata di Cristo.
Il Vangelo di oggi ci descrive un sabato trascorso da Gesù a Cafarnao, che può essere considerato come il paradigma di come Gesù viveva il giorno di riposo ebraico, e che può essere un paradigma per noi per le nostre domeniche ed anche per gli altri giorni della settimana se vivremo il lavoro come costruzione di un mondo guarito, redento.
Questa giornata di Gesù è cadenzata dalle Sue tre occupazioni prioritarie: immergersi nella preghiera con il Padre, stare in famiglia e tra la gente e guarire i malati. Gesù parla con l’uomo, tocca con la Sua mano, che è la mano dell’Infinito, la mano della persona finita, in questo caso quella della suocera di Pietro, ma tutto ciò è è “intriso” di Dio, parte dalla preghiera e si conclude nella preghiera.
Infatti, il Vangelo di oggi ci riferisce di un sabato, che iniziato nella sinagoga, che continua nella casa di Simone, dove Gesù gli guarisce la suocera, e fuori di questa casa dove il Messia guarisce molti malati e indemoniati. Ma facciamo attenzione al fatto che il racconto di oggi non si conclude con la sera di questo sabato ma con la narrazione di Gesù che prima che sorga l’alba va in un luogo solitario, dove Lui, il Figlio parla con Dio Padre.
In riva al lago, in una sinagoga, in una casa, in piazza o un luogo solitario: ogni posto è buono per l’incontro tra noi e il Signore, che ci offre la sua chiamata. Ogni ora può essere quella giusta e ogni posto è conveniente per l’incontro con Dio: la sinagoga, la casa della gente, il luogo desertico.
Cerchiamo di immaginarci la scena descritta dal Vangelo: Gesù, dopo aver lasciato la sinagoga e tra due ali di gente va a casa di Simon-Pietro, dove trova la suocera di questi a letto, con la febbre. Subito la guarisce, prendendola per mano. Mano nella mano, come forza trasmessa a chi è stanco o malato, come mano di fratello e di amico per dare fiducia al fratello e amico debole, infermo. Gesù rialza (il verbo greco è quello usato dal Vangelo anche per parlare della risurrezione) la suocera di Pietro. Gesù alza, eleva, fa rialzare (ri-sorgere) questa donna, la riconsegna alla sua andatura eretta, alla fierezza del fare, del prendersi cura degli altri. La donna si alza e si mette a servire2.
Il Signore prende per mano anche noi, anche noi facciamo lo stesso, prendiamo per mano che si tende verso di noi. Quante cose contiene una mano. Un gesto così può sollevare una vita. Questo, secondo il Vangelo di Marco, è il primo miracolo di Gesù, il più piccolo in apparenza, ma che dice il significato di tutti gli altri: Gesù Cristo, la Parola fatta carne, ci libera dal male fisico e spirituale e ci rende liberi per il bene. Allora facciamo almeno come la suocera di Pietro, guarita dalla febbre, che imita subito Gesù, che è venuto per servire perché ci ama. Servire significa amare, non a parole, ma con i fatti.
Credo che il senso di tutti i miracoli che Gesù fa è di cambiare la vita dell’uomo, di riconsegnare l’uomo a se stesso e a Dio. Secondo il Vangelo di Marco, il primo miracolo di Cristo è quello di guarire la suocera di Pietro, poi durante la sua vita pubblica
– guarirà anche dei ciechi, perché l’uomo abbia occhi che vedono,
– guarirà dei sordi perché l’uomo abbia orecchi che ascoltano,
– guarirà i muti perché la bocca dell’uomo dica la verità,
– guarirà gli zoppi perché l’uomo abbia piedi che camminano alla sua sequela,
– guarirà le mani perché l’uomo a mani aperte e tese tocchi santamente il suo prossimo e soccorra i fratelli e sorelle in umanità,
– guarirà le mani del cuore perché si congiungano in preghiera e l’uomo entri in comunione con Dio. Lui stesso, di notte e fino all’alba, Gesù, anche “stanco” di guarire, andrà in luogo solitario per pregare.
2) Il giorno e la sera per pensare all’uomo, la notte e l’alba per pensare a Dio.
Gesù assediato dal dolore, in un crescendo turbinoso (la sera fuori dalla casa di Simon-Pietro la folla con il suo dolore si affretta da Gesù, Gli consegna il suo dolore e ritrova la vita) sa trovare spazi e tempi per stare con Padre. Gesù ci insegna a inventare quegli spazi segreti che danno salute all’anima, spazi di preghiera, dove niente sia più importante di Dio, dove dirgli: Sto davanti a te; per un tempo che so breve non voglio mettere niente prima di te; niente per questi pochi minuti viene prima di te. Ed è la nostra dichiarazione d’amore.
Nella narrazione evangelica, l’ambientazione della preghiera di Gesù si colloca all’incrocio tra l’inserimento nella tradizione del suo popolo e la novità di una relazione personale unica con Dio. “Il luogo deserto” (cfr Mc 1,35) in cui si ritira, “la notte” che gli permette la solitudine (cfr Mc 1,35; 6,46-47; Lc 6,12) richiamano momenti del cammino della rivelazione di Dio nell’Antico Testamento, indicando la continuità del suo progetto salvifico. Ma al tempo stesso, segnano momenti di particolare importanza per Gesù, che consapevolmente si inserisce in questo piano, pienamente fedele alla volontà del Padre.
Anche nella nostra preghiera noi dobbiamo imparare, sempre di più, ad entrare in questa storia di salvezza di cui Gesù è il vertice, rinnovare davanti a Dio la nostra decisione personale di aprirci alla sua volontà, chiedere a Lui la forza di conformare la nostra volontà alla sua, in tutta la nostra vita, in obbedienza al suo progetto di amore per noi.
La preghiera di Gesù tocca tutte le fasi del suo ministero e tutte le sue giornate. Le fatiche non la bloccano. I Vangeli, anzi, lasciano trasparire una consuetudine di Gesù a trascorrere in preghiera parte della notte.
Guardando alla preghiera di Gesù, chiediamoci: come prego io? Quale e quanto tempo dedico al rapporto con Dio? Chi può essermi maestro?
Il primo Maestro in ciò è Gesù, che ci insegna il Padre nostro e rivela la novità del nostro dialogo con Dio: la preghiera filiale, che il Padre aspetta dai suoi figli. E da Gesù impariamo come la preghiera costante ci aiuti ad interpretare la nostra vita, ad operare le nostre scelte, a riconoscere e ad accogliere la nostra vocazione.
Poi noi, discepoli piccoli di questo grande Maestro, siamo chiamati a essere testimoni della preghiera, proprio perché il nostro mondo è spesso chiuso all’orizzonte divino e alla speranza che porta l’incontro con Dio. Nell’amicizia profonda con Gesù e vivendo in Lui e con Lui la relazione filiale con il Padre, possiamo aprire finestre verso il Cielo di Dio attraverso la nostra preghiera fedele e costante.
A chi non ha tempo e modo di pregare con la Liturgia delle Ore, suggerisco di recitare l’Angelus al mattino, per ricordare la risurrezione di Cristo, a mezzogiorno per celebrare la sua crocifissione, a sera per far memoria della sua nascita. Oppure di iniziare la giornata con questa due preghiere: “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo”, tratta dal Deuteronomio 6,4, e “Padre nostro, che sei nei cieli…
”. La prima preghiera è ascolto, la seconda è risposta. Nell’ascolto io imparo che Dio è Uno solo, e nella riposta dico subito: “Padre mio…” (cfr Divo Barsotti).
Come la preghiera sia il “lavoro” più importante, lo si può capire anche dal fatto che il primo e irrinunciabile impegno delle vergini consacrate nel mondo è quello della preghiera, come viene espressamente richiesto loro durante il rito di consacrazione (Cfr Consacrazione delle Vergini, Premesse, n. 2). In effetti, consegnando il libro della Liturgia delle Ore, il Vescovo si rivolge alla consacrata con queste parole: “La preghiera della Chiesa risuoni senza interruzione nel tuo cuore e sulle tue labbra come lode perenne al Padre e viva intercessione per la salvezza del mondo” (Cfr ib.,Riti esplicativi, n. 48).
Con particolare affetto e devozione le vergini coltivano con la Vergine Maria, modello di ogni sequela e di ogni consacrazione, l’umile confidenza filiale, la preghiera di intercessione, la contemplazione dei misteri del suo Figlio Gesù.
Ogni vergine appartenente all’Ordo inoltre tiene costantemente presente che la preghiera non è solo personale, generosa risposta alla voce dello Sposo e umile richiesta di aiuto per mantenersi fedele al santo proposito e al dono ricevuto, ma è intima partecipazione alla vita del corpo mistico di Cristo, intercessione instancabile per la Chiesa e per il mondo.
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NOTE
1 “In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.”(Mc 1,29-39).
2 Il miracolo è per il servizio; aggiungo qualcosa che leggevo in un commentario e che mi è piaciuto molto: il verbo servire (diakoneo) è lo stesso che esprimerà il servizio del dare la vita da parte di Gesù. Questo, che per tanti è il primo miracolo di Gesù nel vangelo di Marco, ci dice che questa donna, della quale poi non si parlerà più, da subito è entrata nella logica che guida la vita e le scelte di Gesù: il dono della vita! L’incontro, la relazione avviene così: Dio in Gesù ci visita, guarisce la nostra vita e ci rende “liberi per servire”. Non è tanto per essere acclamato che Gesù fa un miracolo, non è tanto per essere riconosciuto come Dio: è perché l’uomo non resti chiuso ma si apra ai fratelli in una relazione gratuita e continuata di servizio.