All’inizio dell’estate, la liturgia propone alla nostra meditazione una brezza spirituale per risvegliare il nostro animo appesantito dalle fatiche di un intero anno.
Leggiamo con attenzione il preambolo di questa pericope, perché essa spiega il contesto in cui ci troviamo ed anticipa quello che sta per accadere.
“Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme” (Lc 9,51).
La Gerusalemme di cui si parla è sicuramente il capoluogo di Giuda. Oltre a questa interpretazione puramente letterale e geografica, la Bibbia intende per Gerusalemme la città di Dio, la Gerusalemme celeste, la dimora eterna di Dio con gli uomini.
Per questo l’evangelista Luca riporta che Gesù si diresse “decisamente”, perché Egli è consapevole che la Gerusalemme terrestre sarà il trampolino di lancio verso la Gerusalemme celeste. La croce sarà proprio il mezzo per compiere questa attraversata, dal mare delle morte fino alle “coste” della vita eterna.
La via verso Gerusalemme passa dalla regione della Samaria, dove i suoi abitanti sono ostili ai Giudei. Questa è una similitudine molto pertinente con la nostra vita. Infatti anche noi, durante il pellegrinaggio verso la patria del cielo, incontriamo numerosi ostacoli, dobbiamo affrontare tanti nemici, che tentano in vari modi di impedire il nostro accesso alla Gerusalemme celeste.
Questo Vangelo ci rivela una verità molto profonda. Più la gente comprende la nostra intenzione di voler crescere nel cammino della santità, di voler correre spediti verso la beata speranza della vita eterna, maggiori diventano le opposizioni, le persecuzioni, le ostilità. “Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme.” (Lc 9,53).
L’atteggiamento più istintivo è quello di provare rancore. In queste situazioni di rifiuto, si corre il serio rischio di far nascere nel cuore un rancore profondo. Questo sentimento interiore si può trasformare in cruenta volontà di distruzione dei propri nemici.
“Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?» (Lc 9,54)”. Ma il Signore Gesù Cristo rifiuta questa logica vendicativa, questo modo di agire distruttivo, e richiama tutti alle virtù della pazienza, della pietà, della misericordia. Questo è l’invito alla conversione al quale ci chiama Gesù. Esso un appello per un cambiamento radicale, realizzabile pienamente solo attraverso la passione di Gesù e il dono dello Spirito Santo.
Ricordiamoci che a Gerusalemme scoppiò una grande persecuzione dopo il martirio di Stefano. Molti discepoli della prima comunità cristiana abbandonarono Gerusalemme per recarsi ad annunziare il Vangelo nel territorio della Samaria. Proprio perché Gesù ha avuto misericordia dei samaritani, ha avuto pazienza della loro incredulità, essi hanno avuto la possibilità di abbracciare la fede in Cristo.
La misericordia di Dio è visibile in queste brevi parole: “Ma Gesù si voltò e li rimproverò. E si avviarono verso un altro villaggio.” (Lc 9, 55-56).
Per i discepoli di Gesù quel rimprovero donerà un senso nuovo alla loro richiesta.
Infatti, per i samaritani si sono compiute le parole degli apostoli Giacomo e Giovanni, anche se in maniera diversa da come loro le intendevano.
“Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». (Lc 9,54).
Non è sceso dal cielo un fuoco divorante per distruggere le vite di quei samaritani che avevano rifiutato di accogliere Gesù. E’ sceso, invece, il fuoco dello Spirito Santo che li ha resi figli adottivi di Dio, purificandoli dalla loro ostilità e incredulità, rendendoli membri della grande famiglia dei figli di Dio.
E tutto questo è potuto accadere per lo scoppio della persecuzione a Gerusalemme verso i messaggeri di Cristo, ma anche per quella “preparazione alla vita eterna” promessa da Gesù stesso alla vigilia della sua passione: “Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; (Gv 14,2).”
La seconda parte del Vangelo di oggi contiene l’esigenza della vocazione apostolica.
L’evangelista Luca colloca questo passo subito dopo la cattiva accoglienza dei messaggeri di Gesù in un villaggio della Samaria.
Sembra che l’evangelista voglia rassicurare la Chiesa. Se è vero che ci sono coloro che rifiutano Cristo, ci sono altri che desiderano seguirlo.
Ma per essere discepoli di Gesù è richiesta una disponibilità totale che consiste nell’accettare un totale distacco dai luoghi, dalla persone, dal passato.
Amare troppo il luogo in cui si è nati e si è cresciuti può costituire sicuramente un ostacolo, se il Signore chiama a seguirLo da un’altra parte del mondo.
Rimanere attaccati alle tradizioni della propria famiglia è di sicuro impedimento, se si vuole annunziare fedelmente le verità del Vangelo. Tradizioni puramente umane e consigli evangelici spesso sono inconciliabili.
Lavorare nel campo del Signore per cercare di smuovere le coscienze, e poi tirarsi indietro per guardare alla vita passata, non è possibile da attuare. I discepoli di Cristo sono chiamati a guardare avanti, a progredire nel cammino di santità, dimenticando il passato, per vivere la gioia presente di essere servitori di Dio, ed essere ricolmi di speranza in vista dell’eredità eterna.