Il Pontefice ha espresso subito la sua gioia per essere giunto in Israele ed ha augurato che si realizzino le sue aspirazioni di pace e prosperità. Ha poi ricordato che dallo storico viaggio del Papa Paolo VI di 50 anni fa, le relazioni tra lo Stato e la Santa Sede sono molto migliorate, come testimoniano i due Accordi già firmati e ratificati e quello in via di perfezionamento.
“Nella Terra Santa – ha spiegato il Papa- si è dispiegata una storia plurimillenaria e sono accaduti i principali eventi legati alla nascita e allo sviluppo delle tre grandi religioni monoteiste, l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam”. Perciò essa è “punto di riferimento spirituale per tanta parte dell’umanità”.
Pensando a Gerusalemme, il Papa ha ricordato che il suo nome significa “città della pace”, perché “così la vuole Dio e così desiderano che sia tutti gli uomini di buona volontà”. Quindi, considerando le conseguenze di lunghi conflitti di chi strumentalizza l’appartenenza religiosa, “è urgente”, secondo Francesco, “la necessità della pace, non solo per Israele, ma anche per tutta la regione”. Per questo motivo – ha detto – “non bisogna lasciare nulla di intentato perché Israeliani e Palestinesi possano vivere in pace”.
Citando le parole di Benedetto XVI, Bergoglio ha auspicato che “sia universalmente riconosciuto che lo Stato d’Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti”. Come pure sia ugualmente riconosciuto che il Popolo palestinese abbia il diritto ad una patria sovrana, e a vivere con dignità e a viaggiare liberamente. “La soluzione di due Stati – è l’augurio del Santo Padre – diventi realtà e non rimanga un sogno”.
Non è mancata una dura denuncia da parte del Pontefice verso la piaga dell’antisemitismo, in vista anche della sua visita di domani al Memoriale del Yad Vashem, il museo che ricorda i sei milioni di ebrei vittime della Shoah. “Prego Dio – ha detto il Papa – che non accada mai più un tale crimine, di cui sono state vittime anche tanti cristiani e altri”. La speranza è che “nel mondo no ci sia piùper l’antisemitismo, in qualsiasi forma si manifesti, e per ogni espressione di ostilità, discriminazione o intolleranza verso persone e popoli”.
Il Vescovo di Roma ha fatto riferimento, in tal senso, all’efferato attentato avvenuto ieri a Bruxelles, dove ignoti hanno sparato dentro al museo ebraico. Ha quindi affidato a Dio misericordioso le vittime ed i feriti.
Un incoraggiamento è andato alle comunità cristiane che vivono in Israele “a proseguire con fiducia e speranza la loro serena testimonianza a favore della riconciliazione e del perdono, seguendo l’insegnamento e l’esempio del Signore Gesù, che ha dato la vita per la pace tra l’uomo e Dio, tra fratello e fratello”.
Al presidente Peres, infine, il Papa ha rivolto lo stesso invito fatto ad Abu Mazen: “Desidero rivolgere un invito a lei, signor presidente, e al signor presidente Mahmud Abbas, ad elevare insieme con me un’intensa preghiera, invocando da Dio il dono della pace. Offro la mia casa in Vaticano per ospitare questo incontro di preghiera”.
“Tutti desideriamo la pace! – ha ribadito – Tante persone la costruiscono ogni giorno con piccoli gesti; molti soffrono e sopportano pazientemente la fatica di tanti tentativi per costruirla, e tutti, specialmente coloro che sono posti al servizio dei propri popoli, abbiamo il dovere di farci strumenti e costruttori di pace, prima di tutto nella preghiera. Costruire la pace è difficile, ma vivere senza pace è un tormento. Tutti gli uomini e le donne di questa terra, del mondo, del mondo intero, ci chiedono di portare davanti a Dio l’ardente aspirazione della pace”.