AVVERTENZA: Da questa puntata in poi il nostro commento sarà molto più essenziale che i precedenti. E cambierà anche di forma, come si vedrà subito, cogliendo solo qualche punto delle varie Letture. Il commento più esteso viene trasferito ad altra sede e ad altri momenti. Per ogni delucidazione si scriva a info@grisroma.org. Per motivi di spazio viene omessa la riproduzione del testo liturgico che sarà citato solo in rapporto ai versetti che commenteremo.
Prima Lettura At 6,1-7
“6… dopo aver pregato, imposero loro le mani”. Questo gesto, del tutto assente nel geovismo che non crede e non ha quindi il sacramento dell’Ordine sacro, è stato interpretato da sempre come coessenziale alla preghiera correlata che, compiuta da persone già insignite del sacerdozio ministeriale, vogliono trasmettere il potere sacerdotale specifico ad altre persone. Non si tratta cioè del cosiddetto sacerdozio comune conferito dal battesimo a tutti i fedeli e di cui ci parlerà la seconda Lettura. I diaconi, ai quali veniva affidato “il servizio dell’assistenza a vedove e orfani (simbolo di tutti coloro che sono deboli e bisognosi di aiuto) e anche dell’annuncio della Parola”, sono insigniti dell’Ordine sacro in subordine a quello degli apostoli e dei presbiteri. Si tratta di un ministero qualificato, “a cui viene riconosciuta una specifica autorità/autorevolezza nella comunità” (cf Servizio della Parola, n. 456, Queriniana, p. 143,).
Seconda Lettura 1Pt 2,4-9
“4 …al Signore pietra viva… 5 quali pietre vive siete costruiti anche voi… 6 …pietra d’angolo… e chi crede in essa non resterà deluso”. Pietra viva-pietra d’angolo-pietre vive… E’ la metafora ben nota che indica inequivocabilmente come, stando alla Bibbia, è Dio, è il Signore Gesù che ha associato a sé, con analoga funzione (anche se in subordine a quella del suo unico Sacerdozio) la missione degli apostoli e dei discepoli. Siamo tutti corredentori in Lui, con Lui e grazie a Lui. Gli splendidi titoli onorifici assegnati ai modestissimi tralci della Vite “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa…” sono altrettanti oneri in relazione al triplice munus che il sacerdozio comune porta con sé: il servizio di intercessione, attraverso la preghiera (culto-sacerdozio); quello di annuncio, mediante la parola comunicata e testimoniata (profezia), quello della carità, mediante la solidarietà e l’aiuto di fronte alle necessità del prossimo (regalità). (o.c. p. 142) Di tutto questo nel geovismo resta solo il munus della predicazione (che sarebbe la profezia) venendo del tutto disattesi quelli del culto e della carità, nonostante che, sorprendentemente, la funzione “sacerdotale” (non del nostro sacerdozio ministeriale, giacché nel geovismo non esiste nessun sacramento, neanche quello del battesimo!) sia attribuito ai 144.000 che sono qualificati come “sottosacerdoti con Cristo”.
Vangelo Gv 14,1-12
“1 …Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”. Ecco un altro punto (forse sfuggito ai traduttori della NM ridimensionatrice?) ove il Figlio si affianca al Padre e non in subordine come insiste a dire il geovismo, e come sarebbe giusto se egli fosse solo creatura. C’è perfino un testo in cui la Bibbia dice “affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre” (Giovanni 5,23 – NM) sorprendente no? “3 …Vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi”. Altra cosa sorprendente nel geovismo sono queste parole che sarebbero riservate ai 144.000 fedeli “unti”. Chi sa come ci sarebbero rimasti male, sia loro che San Paolo che preferiva morire per essere con Cristo (cf Filippesi 1,23), se Gesù avesse detto loro che li avrebbe portati con sé solo 1885 anni dopo, nel 1918, data in cui, secondo il geovismo, sarebbero stati risuscitati gli unti dell’antichità; e come sarebbero rimasti male se avesse precisato – come facciamo notare con critica “bereana” noi – che non avrebbe portato davvero loro con sé ma delle copie, dei fac-simili creati da Geova al loro posto.
“9 …Chi ha visto me, ha visto il Padre… 11 …Se non altro credetelo per le opere stesse”. Gesù sta rivelando il mistero della vita intima di Dio alla quale la sua persona (che è unicamente divina come poi si capirà) è intimamente associata. Le immagini che adopera: essere nel Padre e viceversa, essere immagine del Padre e voce del Padre alludono a quello che poi si comprenderà essere il mistero trinitario. Gesù sapeva che lì per lì non lo avrebbero compreso, ma chiedeva fede sulla base della sua dichiarazione, aiutata dalla constatazione della approvazione divina manifestata dai miracoli (fatti analizzabili razionalmente che offrivano ai discepoli l’evidenza di essere di fronte alla soprannaturale presenza di Dio che non può né ingannarsi né mentire). Ebbene, si noti con quali “delicati” e astuti accorgimenti deformanti la NM risolve il problema suscitato dalla… misteriosa chiarezza di questo testo in cui Gesù-Figlio dice di vivere in simbiosi con il Padre. Essa traduce (=tradisce): “Chi ha visto me ha visto [anche] il Padre…. Non credi che io sono unito al Padre e che il Padre è unito a me?… ma il Padre che rimane unito a me fa le sue opere. Credetemi che io sono unito al Padre e il Padre è unito a me…”. (NM) Quello “unito a” non rende giustizia al greco “èn to” che significa “nel Padre” e “in me”; concetto ribadito le mille volte sia da Giovanni che da Paolo che furono i primi teologi della nuova rivelazione. Un sorriso amaro merita poi quello “[anche]” posto tra parentesi quadre, come ad ammettere pudicamente che nel testo quella parola non c’è ma che bisogna mettercela perché Gesù, secondo la WT, non può voler dire ciò che l’evangelista gli ha fatto dire. C’è da chiedersi: ma se, come dice la WT, nella Bibbia “non c’è posto per i misteri” perché mai Gesù, se non diceva cose umanamente incredibili ma solo cose semplici (un “anche” che lo manteneva separato dal Padre, e un “unito a” che lo poneva solo in sintonia di intenti e di idee) perché mai ha dovuto fare appello ai miracoli come base per essere creduto?