I pellegrini si trovavano a Roma in occasione del centenario della nascita del Fondatore, Luigi Novarese, ad un anno dalla beatificazione. Il Pontefice ha indicato proprio nella figura del Beato il modello da seguire, in quanto “sacerdote innamorato di Cristo e della Chiesa e zelante apostolo dei malati”. Ha poi ricordato la sua esperienza di sofferenza, vissuta nell’infanzia, che lo rese molto sensibile al dolore umano.
Era il 1923 quando, all’età di nove anni, a Novarese venne diagnosticata una gravissima forma di tubercolosi ossea, malattia allora incurabile. Nonostante il parere contrario dei medici e degli altri figli, la mamma di Luigi vendette le proprietà di famiglie per curare il ragazzo.
Nel 1930, Luigi si aggravò, sembrava fosse arrivata la fine. Venne ricoverato nel sanatorio Santa Corona di Pietra Ligure. Devoto di Maria scrisse al rettore Maggiore dei Salesiani di Giovanni Bosco, affidandosi alle sue preghiere e a quelle dei ragazzi dell’oratorio. Don Filippo Rinaldi, gli rispose subito, raccomandandolo all’intercessione di Maria Ausiliatrice.
Accadde così il miracolo: nel maggio 1931, all’età di 17 anni, Luigi viene dimesso dall’ospedale Santa Corona completamente guarito. Fu dopo questa esperienza che Novarese decide di spendere la vita per gli infermi e fondò i Silenziosi Operai della Croce e il Centro Volontari della Sofferenza, che ancora oggi proseguono la sua opera.
Parlando della sofferenza, papa Francesco ha ricordato il passo delle beatitudini dove si legge “Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati” (Mt 5,4). E ha spiegato che la sofferenza è una condizione della vita terrena che non manca a nessuno. Lo stesso Gesù ha “conosciuto ogni tipo di afflizione, quelle morali e quelle fisiche. Egli “ha provato la fame e la fatica, l’amarezza dell’incomprensione, è stato tradito e abbandonato, flagellato e crocifisso”, ha detto il Papa.
Non è che Gesù “intende dichiarare felice una condizione sfavorevole e gravosa della vita”, ha tuttavia precisato il Santo Padre. “La sofferenza – ha sottolineato – non è un valore in sé stessa, ma una realtà che Gesù ci insegna a vivere con l’atteggiamento giusto”. Secondo il Vescovo di Roma, è sbagliato quindi l’atteggiamento di vivere il dolore “in maniera passiva, lasciandosi andare con inerzia e rassegnandosi”. Come è sbagliata anche “la reazione della ribellione e del rifiuto”.
Per il Pontefice è giusto invece quanto insegnato da Cristo, ovvero “vivere il dolore accettando la realtà della vita con fiducia e speranza, mettendo l’amore di Dio e del prossimo anche nella sofferenza: è l’amore che trasforma ogni cosa”.
E’ insomma l’atteggiamento che il beato Novarese ha indicato “educando i malati e i disabili a valorizzare le loro sofferenze all’interno di un’azione apostolica portata avanti con fede e amore per gli altri”. Egli diceva sempre: “Gli ammalati devono sentirsi gli autori del proprio apostolato”.
“Una persona ammalata, disabile, può diventare sostegno e luce per altri sofferenti, trasformando così l’ambiente in cui vive”, ha rimarcato Francesco. Ha pertanto esortato i Silenziosi Operai della Croce e i Volontari della Sofferenza a continuare ad essere “soggetti attivi dell’opera di salvezza ed evangelizzazione”, “vicini ai sofferenti delle vostre parrocchie, come testimoni della Risurrezione”.
“In questo modo – ha aggiunto – voi arricchite la Chiesa e collaborate con la missione dei pastori, pregando e offrendo le vostre sofferenze anche per loro. Vi ringrazio tanto di questo!”.
Il Pontefice ha concluso invocando la Vergine Maria, la nostra Madre che “sa, conosce le sofferenze e ci aiuta sempre nei momenti più difficili”, affinché ci aiuti ad essere veri “operai della Croce” e veri “volontari della sofferenza”, “vivendo le croci e le sofferenze con fede e con amore, insieme con Cristo”.