L'impegno contro la tortura della Santa Sede

Mons. Tomasi, Osservatore Permanente presso l’Ufficio ONU di Ginevra, ribadisce la presa di posizione della Santa Sede contro la tortura e chiarisce che il Vaticano non è responsabile delle azioni d’ogni singolo fedele

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L’impegno della Santa Sede contro la tortura. È questo uno dei temi intorno ai quali si è snodato l’intervento di mons. Silvano Maria Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Ufficio ONU di Ginevra, intervenuto stamani al 52.mo Comitato Onu sulla Convenzione contro la tortura (CAT).

Mons. Tomasi ha detto di considerare la Convenzione uno strumento “valido” per “combattere atti che costituiscono una grave offesa alla dignità umana”. Ha ricordato le prese di posizione della Santa Sede per perseguire questo obiettivo. Tra le note del suo discorso trascritto, infatti, vi è una rassegna di interventi di Oltretevere, nel corso della storia, per contrastare la tortura.

Pio XII ne aveva parlato al Sesto Congresso Internazionale sulla legge Criminale; si affrontava la questione nella Costituzione Pastorale del Concilio Gaudium et Spes; la ribadiva Giovanni Paolo II nel n. 80 dell’Enciclica Veritatis splendor e nel n. 3 della Evangelium Vitae; e se ne parla anche nel Compendio della Dottrina Sociale.

Citazioni che trovano eco nel lavoro che svolge oggi la Santa Sede, la quale ha promosso e continuerà a promuovere a “livello globale i valori e i diritti umani” che sono “necessari per relazioni amichevoli tra i popoli e la pace nel mondo”.

C’è tuttavia il rischio, avverte mons. Tomasi, che il lavoro della Convenzione possa rivelarsi “non solo inefficace, ma persino controproducente”. È il caso in cui avvenga “l’introduzione di altri temi di cui la Convenzione non tratta”, un fatto che riduce “l’obiettivo originale della Convenzione” e “mette a rischio le situazioni di coloro che sono abusati e torturati”.

Altra questione affrontata dall’Osservatore vaticano è la giurisdizione della Santa Sede. “Le autorità statali – ha precisato mons. Tomasi – sono obbligate a proteggere e, quando necessario, perseguire le persone sotto la loro giurisdizione”. Non va però confuso il ruolo della Santa Sede con quello della Chiesa cattolica. Il presule ci tiene perciò ha sottolineare che la Santa Sede “non ha giurisdizione” su “ogni membro della Chiesa cattolica”. E dunque “le persone che vivono in un particolare Paese sono sottoposte alla giurisdizione delle legittime autorità di quel Paese”.

Questo significa che “qualsiasi persona fisica, nonostante l’affiliazione a un istituto cattolico, è soggetta alla legittima autorità dello Stato. L’obbligo e la responsabilità di promuovere la giustizia, in questi casi spetta alla competente giurisdizione nazionale”.

Domani pomeriggio mons. Tomasi sarà impegnato a rispondere alle questioni poste dal Comitato. In un’intervista rilasciata alla Radio vaticana, il presule afferma: “Noi affronteremo tutte le questioni nel miglior modo possibile in modo da creare un dialogo costruttivo e non un confronto basato su alcune asserzioni che alle volte le Ong mettono in forma molto polemica e che sono poi usate come informazioni accurate, anche se qualche volta non lo sono…”.

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ZENIT Staff

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