Se avete iniziato a leggere questo articolo alla ricerca di una dieta o qualcosa di ascetico vi invitiamo a passare oltre!
La Compagnia delle Virtù prende infatti il nome dall’omonima pietanza abruzzese composta da una gran varietà di ortaggi e che si consuma proprio in questo periodo.
L’idea di riunirsi il primo venerdì di maggio, per il semplice gusto di stare insieme e di condividere questo piatto, è nata 10 anni fa per iniziativa di alcuni aderenti a Comunione e Liberazione di buona forchetta.
Quest’anno, per la terza volta consecutiva, i soci della Compagnia delle Virtù si sono ritrovati venerdì 2 maggio nella Cantina di Sant’Agustino di Grottammare (AP), un antico monastero agostiniano del 1500, che insieme alla sala dell’adorazione Eucaristica ed alla Chiesa ha uno spazio dedicato alla ristorazione e condivisione del buon cibo .
Ma non si pensi che l’iniziativa della Compagnia delle Virtù sia solo una balorda gozzovigliata. L’amore per la buona cucina nasce dal genuino interesse verso tutto ciò che è bello. Infatti, come ha detto il parroco don Giorgio Carini, citando don Luigi Giussani, “dopo la musica e la poesia, il gusto per la bellezza si esercita negli uomini sul cibo e sul vino”.
Il pranzo è stato allietato da canti e da significative letture, sempre incentrate sul tema del buon mangiare e del buon bere, come questo brano di Gilbert Keith Chesterton, proposto dall’Avv. Andrea Collina:
“Sono stato spesso visitato da questa fantasia: che le credenze degli uomini possano essere rappresentate per analogia con le loro bevande. Il vino potrebbe rappresentare il cattolicesimo genuino e la birra il genuino protestantesimo: perché queste, almeno, sono vere religioni che danno conforto e forza.
L’agnosticismo puro e freddo sarebbe l’acqua fresca, qualcosa di eccellente, quando riesci ad averla. Molti movimenti etici e idealistici moderni possono essere rappresentati dalla soda – tanto chiasso per nulla. La filosofia di Bernard Shaw è esattamente come il caffè nero – risveglia, ma non ispira veramente.
Il moderno materialismo salutista è come il cacao; sarebbe impossibile esprimere il disprezzo per esso in termini più forti. Talvolta, molto raramente, qualcuno potrebbe imbattersi in qualcosa che può essere onestamente paragonato al latte, una dolcezza antica e pagana, una misericordia terrena ma sostanziosa – il latte della gentilezza umana”.
Vista la vicinanza con la festa del Primo Maggio è stato letto anche questo bel brano di Peguy:
“Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario.
Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura. Una tradizione venuta, risalita dal profondo della razza, una storia, un assoluto, un onore esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta.
E ogni parte della sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali. E sono solo io – io ormai così imbastardito – a farla adesso tanto lunga.
Per loro, in loro non c’era allora neppure l’ombra di una riflessione. Il lavoro stava là. Si lavorava bene. Non si trattava di essere visti o di non essere visti. Era il lavoro in sé che doveva essere ben fatto”.
La Compagnia delle Virtù si riunisce in un altro momento dell’anno per gli “esercizi di cristianità”(anche qui il lettore non si inganni, non si tratta di nulla che ha a che fare con esercizi austeri e ascetici!) che prendono il nome da una pratica di origine iberica.
Nel XV secolo Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia avevano cacciato dal loro regno gli ebrei e i musulmani che non si erano convertiti al cristianesimo. Molti di loro però avevano rinnegato la propria religione solo in apparenza e continuavano a professarla di nascosto.
Gli spagnoli allora, per verificare la sincerità della conversione, offrivano a questi neofiti carne di maiale. La vicenda costituisce il pretesto per i soci della Compagnia della Virtù per stare insieme e mangiare della succulenta carne di maiale nel giorno di Sant’Antonio Abate (17 gennaio), senza ovviamente nessuna forma dell’originale astio.
Infine i soci della Compagnia della Virtù si riuniscono una terza volta. Incredibile a dirsi, ma stavolta il cibo non c’entra, o quantomeno non la fa da padrone! Nei primi giorni di settembre infatti i soci si dirigono in pellegrinaggio verso una meta stabilita. Quest’anno sarà la volta dell’abbazia di San Vincenzo al Volturno, come annunciato dal Prof. Giuseppe Fidelibus.
Fonte: L’Ancora on line