Senza la benché minima prova e con argomentazioni puramente ideologiche più di 800 intellettuali firmarono un manifesto contro il Commissario Luigi Calabresi. I gruppi estremisti scrissero e auspicarono il suo assassinio. Le Forze dell’Ordine e la politica si dimostrarono incapaci nel difenderlo. Il 17 maggio 1972 con due colpi di pistola alla schiena e uno alla nuca, il commissario Luigi Calabresi venne ucciso sotto la sua abitazione.
I suoi meriti sono stati riconosciuti solo nel maggio del 2004, quando il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi consegnò Gemma Capra, amata moglie del Commissario Calabresi, la medaglia d’Oro al valore civile.
Di questa storia è stata fatta una Fiction che la Rai ha mandato in onda martedì 7 e mercoledì 8 gennaio.
La Fiction trae spunto dal libro “Gli anni spezzati – Il commissario Luigi Calabresi, medaglia d’Oro” scritto da Luciano Garibaldi e pubblicato dalle edizioni Ares.
Il giornalista e storico Luciano Garibaldi, ha vissuto in prima persona le vicende di cui si narra, sia come cronista, che come inviato. Ha intervistato la maggior parte dei personaggi coinvolti. Ha fatto ricerche e scritto libri sulle varie fasi della vicenda.
ZENIT lo ha intervistato.
Chi ha messo la bomba nella banca dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano?
Luciano Garibaldi: Nessuno può rispondere a questa domanda con la certezza di non sbagliare. Quarantacinque anni e diecine di procedimenti penali nei confronti di estremisti di destra e di sinistra, conclusisi con una serie di assoluzioni “per non aver commesso il fatto”, lasciano spazio alle più svariate ipotesi. Purtroppo, sulla proto-strage che diede il via agli “anni di piombo” continuano a incombere due interpretazioni opposte, entrambe di matrice politica. A destra si è convinti che la bomba fu opera degli anarchici. A sinistra, che fu collocata da elementi di estrema destra manovrati dai servizi segreti deviati, esecutori di una strategia che mirava ad instaurare in Italia un governo forte, capace di evitare al Paese di cadere nella sfera di controllo dell’Urss.
Lei come la pensa, al riguardo? Doveva essere solo un atto dimostrativo o fu un vero tentativo di strage?
Luciano Garibaldi: Non ho mai avuto certezze assolute. Nemmeno all’epoca dei fatti, quando ero inviato di prima fila per conto di quotidiani e settimanali e vivevo tra caserme dei carabinieri, tribunali e questure. Di un episodio però fui protagonista diretto. Fui querelato per diffamazione dall’anarchico Pietro Valpreda per un mio articolo nel quale lo definivo “esperto in esplosivi”. Il processo durò cinque anni dinnanzi al tribunale di Monza e alla fine fui assolto con formula piena perché rintracciai il suo sergente istruttore durante il servizio militare, che testimoniò circa la sua competenza in materia di bombe. Intendiamoci. Ciò non significa che la bomba l’abbia collocata lui. Potrebbe però rafforzare i sostenitori dell’ipotesi secondo la quale le bombe (una seconda a Milano, Banca commerciale, le altre due a Roma) erano state regolate per esplodere alle 16,30, ovvero in un orario di chiusura delle banche. Cioè, solo per fare il botto. E il ragionamento funziona sia che i cervelli fossero “di destra”, sia che fossero “di sinistra”. Anche se, per poter dare fondamento a questa ipotesi, occorrerebbe poter dimostrare che le borse con gli ordigni erano state collocate prima della chiusura degli istituti di credito, ossia prima delle ore 13. E dunque, con dei timer della durata di almeno quattro ore. Ciò che non fu mai possibile sapere, in quanto l’ordigno inesploso recuperato alla Commerciale fu fatto saltare, per ordine della magistratura, prima di poter essere esaminato dagli esperti.
Per un piano preciso, o per superficialità?
Luciano Garibaldi: Non c’è dubbio. Per superficialità e incompetenza.
Che cosa accadde con Giuseppe Pinelli? Fu un suicidio? Perché?
Luciano Garibaldi: Sulla tragedia di Pinelli esistono quattro pronunce della magistratura: due requisitorie, firmate dai pubblici ministeri Caizzi e Gresti, e due sentenze firmate dai giudici istruttori Amati e D’Ambrosio. Requisitoria e sentenza del primo procedimento, che vedeva Calabresi e i suoi colleghi imputati di omicidio colposo, conclusero per il suicidio. Così pure la requisitoria Gresti (che ho deciso di riprodurre nel mio libro per la sua approfondita ed esaustiva analisi), che vedeva Calabresi imputato addirittura di omicidio volontario. L’ultima – e definitiva – sentenza, quella di D’Ambrosio, come tutti sanno, conclude con l’ipotesi della disgrazia: Pinelli si era sporto dalla finestra del quarto piano, e, colto da malore, precipitò nel vuoto.
Che legami c’erano tra il gruppo degli anarchici accusati delle esplosioni e l’editore Giangiacomo Feltrinelli?
Luciano Garibaldi: Non risultano legami diretti. Feltrinelli era indagato per aver dato vita ai GAP (Gruppi di azione partigiana), dal nome dei mitici GAP (Gruppi di azione patriottica) della guerra di liberazione. I GAP si erano resi responsabili di azioni propagandistiche di marca comunista-castrista, interferendo con le trasmissioni della Radio, ed anche di azioni violente, come l’assalto a sassate ad un comizio di Almirante a Genova, nel corso del quale avevano ucciso, sfondandogli il cranio, l’attivista del MSI Ugo Venturini. Feltrinelli aveva poi cercato di “richiamare in servizio” i vecchi partigiani delle formazioni garibaldine, ma non era riuscito nell’intento. La vicenda fu da me ricostruita e narrata in una serie di reportage e di interviste con i vecchi partigiani della Val Borbera e dell’Oltrepò Pavese, che ripropongo nell’ultima edizione del mio libro «Brigate Rosse. Per non dimenticare», pubblicato dalla casa editrice ‘Pagine’ con prefazione di Marco Ferrazzoli.
(La seconda parte segue domani, sabato 11 gennaio)