"Mi ami tu? Pasci le mie pecorelle!"

A proposito di certe critiche nei confronti di papa Francesco

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Poco dopo l’elezione di Papa Francesco si parlava tra amici dei positivi commenti alla sua elezione provenienti, oltre che dai più vari ambienti ecclesiali, anche dalle più disparate aree di pensiero laiche e laiciste.

Certamente il dato più interessante era costatare che attorno alla sua figura si sentivano attratte tante persone fino ad allora lontane da una vita di fede regolare o da una partecipazione ai riti della comunità cristiana; contemporaneamente era evidente un grande entusiasmo dei poveri e dei piccoli, sia del sud del mondo che delle nostre città, di chi è abituato ad esprimere una fede semplice.

Interrogandoci sul significato di questa manifestazione di entusiasmo che si poteva definire a buon diritto “universale” ci lasciammo con un pizzico di sana inquietudine, in attesa di probabili delusioni e di sicure critiche che presto sarebbero arrivate.

Papa Francesco in questi mesi ha continuato a sorprenderci e a suscitare entusiasmo parlando di povertà, di periferie, di pecore e della loro puzza piuttosto che di pecorelle immacolate di certa olografia, ha simbolicamente scelto di abitare in un appartamento modesto, di usare utilitarie per i suoi spostamenti, di infrangere le regole della sicurezza, di telefonare a casa di semplici fedeli che si erano rivolti a lui con le suppliche più varie. Ma insieme a questi segni ripresi e rilanciati dai media, in tante occasioni, certamente meno raccontate, ci ha raccomandato la devozione a Maria, consacrando il Mondo intero alla Madonna di Fatima, ci richiama con aneddoti ed esperienze personali alle modalità più semplici, tradizionali, popolari di espressione dell’amore per il Signore, ha riaffermato la sacralità della vita di ogni uomo, in particolare dei concepiti, dei giovani e degli anziani, che sono il futuro ed il passato, la speranza e la memoria di ogni nazione e di ogni società.

Poi ha rilasciato qualche intervista, si è offerto di parlare con dei giornalisti, conservando anche con loro lo stesso stile immediato che non pesa le parole, che vuole scaldare il cuore del suo interlocutore per prepararlo a ricevere il seme che lui vi getta, senza sapere e senza chiedersi se e quando germoglierà: ve lo immaginate Scalfari emozionato dalla telefonata del Papa (è lui che lo ha raccontato), che non sa che parole usare, che accetta l’appuntamento, luogo giorno ed ora, proposto da Francesco senza complicazioni per precedenti impegni?

E sono arrivate le critiche.

Le prime critiche sono arrivate proprio da dentro la Chiesa e questo di per sé non è un male, è pur sempre un segno di attenzione, d’altra parte il Papa non è sempre infallibile, anzi solo di rado si pronuncia ex-cathedra, impegnandoci alla sequela senza discussioni, quindi nella maggior parte delle occasioni, specie quando il contesto è informale, quasi confidenziale (e Francesco non di rado si muove in questi spazi), chi è sufficientemente formato ed informato, sufficientemente autorevole ed esperto, nel modo dovuto e con tutta la carità di cui è capace, può anche muovere critiche, chiedere precisazioni o esprimere perplessità.

Quel che non è accettabile, e che diventa sostanzialmente risibile, è accusare il Papa di intenzioni scismatiche o di sovversione nei confronti del Magistero.

Penso che Francesco voglia far capire che la sua attenzione è veramente per ognuno di noi, così come lo è veramente quella di Gesù, per questo interpreta il ruolo di pontifex in modo letterale, cerca contatti personali in modo sorprendente, correndo il rischio della semplificazione, talvolta forse perfino dell’equivoco, avvicinandosi a ciascuno secondo la legge della gradualità che, come ci hanno insegnato, non è la gradualità della legge.

San Francesco stesso andò dal Papa in ginocchio, non fondò un’altra Chiesa, ma attese che il Papa, con il suo discernimento e con l’aiuto dello Spirito riconoscesse la straordinaria novità della sua predicazione, che lo benedicesse e lo inviasse nel mondo.

Veramente qualcuno di noi pensa di essere più ispirato?

Di Paolo, di Apollo o di Cefa, di Giovanni Paolo, di Benedetto o di Francesco: “Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1Cor 22-23). Gesù è il fondamento, è Lui la Via, Lui ha scelto Pietro, noi crediamo abbia scelto anche Francesco, d’altra parte o è così e quindi a lui dobbiamo comunque stringerci, o non è così e allora tutto sarebbe vano, figuriamoci le nostre precisazioni o le nostre correzioni!

Tre parole, credo, dovrebbero stamparsi nella nostra mente e nel nostro cuore dopo questi primi mesi di pontificato: tenerezza, custodia, misericordia. Su ognuna, sapendolo fare, a lungo si potrebbe scrivere, ma essenzialmente tratteggiano e delineano la fisionomia dell’“Uomo Nuovo”, esposto alle intemperie del Mondo, fermo sull’uscio, ma accogliente, custode affidabile perché forte, eppure carezzevole,  capace di perdono perché ben conosce la debolezza, che non si sottrae all’incontro ed al confronto perché “il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura? Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò timore?” (Sal 26).

Ogni Papa è quello giusto, perché, grazie a Dio, non dipende da noi.

***

Andrea Filoscia è Presidente dell’Associazione Scienza e Vita Viterbo

[Questo articolo sarà pubblicato anche dal periodico della Diocesi di Viterbo, Vita]

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Andrea Filoscia

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