L'anima esiste ed è immortale (Prima parte)

L’intelletto e la volontà non hanno un’origine materiale

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La capacità di concettualizzare, come abbiamo visto precedentemente[i], non esiste negli animali, essendo specificamente umana. Tale capacità consente all’essere umano di  intus-legere, cioè di legger dentro i fenomeni o enti e di conoscerne l’essenza: l’essenza di un minerale o di una pianta o di un animale, ma anche l’essenza dell’uomo. Tutto il mondo che ci circonda è intellegibile, cioè conoscibile con l’intelletto umano, ed è sul fondamento dell’intellegibilità del reale che è possibile la scienza, la filosofia, l’arte e ogni conoscenza e attività umana.

Newton avrebbe potuto scoprire la legge di gravità se essa non fosse iscritta nella natura? Aristotele avrebbe potuto dimostrare l’esistenza di Dio come atto puro, se non avesse intravisto nei fenomeni che studiava dei segni razionali che rimandavano a una Ragione assoluta? Munch avrebbe potuto dipingere il suo famoso quadro L’urlo se non avesse percepito il senso dell’esistenza nei suoi aspetti più drammatici?

Tutta la realtà è intellegibile, cioè ha senso, e l’intelletto è la facoltà umana capace di cogliere il senso delle cose, cioè la loro intellegibilità.

L’intelletto è la capacità di intuire il senso dei fenomeni, qualsiasi essi siano, e di riflettere su di essi e quindi di pensare e il pensiero, afferma Pascal, “costituisce la grandezza dell’uomo”[ii].

Pascal riconosce non solo la debolezza e piccolezza umana, ma anche la sua grandezza, che consiste nel pensiero. Scrive:

“L’uomo non è che una canna, il più debole della natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l’universo intero si armi per schiacciarlo; un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma, quand’anche l’universo intero lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di ciò che lo uccide perché egli sa di morire e conosce la superiorità che l’universo ha su di lui; l’universo invece non sa nulla.

Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero. […]”[iii].

Il filosofo era consapevole della peculiarità del pensiero umano e della necessità del suo esercizio, per evitare che l’uomo si degradi, vivendo in maniera istintiva senza riflettere sulle cose.

Scrive:

“L’uomo è manifestamente fatto per pensare: in ciò è tutta la sua dignità e tutto il suo merito; e tutto il suo dovere è di pensare come si deve. […]

Invece a che pensa il mondo? Mai a questo, ma a danzare, a suonare il liuto, a cantare, a comporre versi, a correre l’anello, ecc. a battersi, a farsi re, senza pensare a quel che significa essere re e a quel che significa essere uomo”[iv].

L’uomo non soltanto può conoscere il senso della realtà, ma è anche consapevole di conoscere, è cioè autocosciente: sa di sapere.

Il filosofo afferma questo concetto nel Pensiero 347, sopra citato, quando scrive che l’uomo “sa di morire e conosce la superiorità che l’universo ha su di lui; l’universo invece non sa nulla”.

L’essere umano è il re dell’intero universo, essendogli superiore, poiché pensa l’universo, mentre quest’ultimo “non sa nulla”[v].

Pascal analizzava “fenomenologicamente” l’essenza umana, la quale non è né animalesca né angelica, anche se, come vedremo, partecipa sia dell’una sia dell’altra, poiché l’essere umano è un animale razionale.

Il filosofo scrive in proposito:

“E pericoloso mostrare troppo all’uomo quanto egli sia uguale alle bestie, senza mostrargli la sua grandezza. E’ anche pericoloso fargli troppo vedere la sua grandezza senza la sua bassezza. E’ ancora più pericoloso lasciare che ignori l’una e l’altra. Ma è utilissimo prospettargli l’una e l’altra.

Non bisogna che l’uomo creda di essere uguale alle bestie né agli angeli, né che ignori l’una cosa e l’altra, ma che conosca l’una e l’altra”[vi].

Bisogna che l’uomo conosca gli animali per rendersi conto che ciò che lo differenza da essi è non soltanto la capacita di pensiero e di autocoscienza, ma anche la capacità di “scelta”.

Spesso dal comportamento degli animali siamo erroneamente indotti a credere che essi ragionino e agiscano consapevolmente, mentre tutta la loro vita è di carattere istintivo.

Giacon scrive a riguardo:

“Gli animali, […] pur compiendo azioni, che talvolta sono da noi interpretate come procedenti da una conoscenza universale e da una spontaneità elettiva, hanno come principio di dette azioni soltanto istinti naturali del tutto materiali. La plasticità di questi istinti, che adatta le azioni alle circostanze, è sufficiente a spiegare il diverso comportamento delle medesime azioni”[vii].

Tutte le attività dell’animale sono istintive: un cane affamato e in normali condizioni di salute necessariamente mangia, perché istintivamente determinato, mentre un uomo può non mangiare, perché, anche se affamato, ha scelto di digiunare.

L’essere umano si autodetermina razionalmente; infatti, giudica i mali da evitare e i beni da perseguire e tra questi il bene particolare scelto dalla volontà. L’uomo possiede il libero arbitrio, il quale presuppone l’esercizio di due facoltà: l’intelletto e la volontà.

Queste facoltà sono immateriali, quindi spirituali: chi ha mai pesato il concetto di peso? Chi ha mai visto la scelta di stare in piedi o seduto?

Io ho il concetto di peso e sono consapevole che non ha niente di materiale come tutti i concetti che possiedo. Ugualmente sono consapevole di potere compiere molteplici scelte, anch’esse assolutamente immateriali.

L’intelletto e la volontà sono immateriali, ma qual è la loro origine? La materia, come avviene per gli istinti animali?

Porsi il problema dell’origine significa ricercare una causa. Questa indagine, se condotta fenomenologicamente, implica un’integrazione di carattere speculativo. La conoscenza speculativa è una conoscenza di “riflesso” è un vedere la realtà non in maniera diretta, ma indiretta; è come  guardare un’immagine allo specchio. E’ vera conoscenza come quando riconosco la realtà di oggetti percepiti non direttamente, ma indirettamente tramite uno specchio appunto.

Il principio di causa è indispensabile per spiegare il perché dell’esistenza nell’essere umano di operazioni di carattere spirituale.

Ciò che è spirituale può essere causato da ciò che è materiale? La materia può causare qualcosa di spirituale, cioè di immateriale?

I filosofi scolastici medioevali rispondevano senza esitazione a tale quesito: “nemo dat quod non habet” (nessuno dà ciò che non ha), in ottemperanza al principio di non contraddizione, che è la legge fondamentale di tutta la realtà.

Se l’intelletto e la volontà non hanno un’origine materiale, come si spiega la loro esistenza?

La speculazione filosofica ha il compito di dare una risposta a questa domanda.

(La seconda parte verrà pubblicata il prossimo sabato. Cinque parti precedenti questo articolo sono state pubblicate con il titolo: “Esiste l’anima?”) 

*

NOTE

[i] Vedi articoli precedenti pubblicati su Zenit, con il titolo: Esiste l’anima?.

[ii] B. Pascal, Pensiero n. 346, in Idem, Pensieri, a cura di G. Mosca, Alberto Peruzzo Editore, Sesto San Giovanni (Mi) 1986,  p. 105.

[iii] B. Pascal, Pensiero n. 347, cit., p. 105.

[iv] B. Pascal, Pensiero n. 146, cit., p. 49.

[v] Cfr. R. Coggi,  Dio creatore, gli angeli e l’uomo, cit., pp. 166-167.

[vi] B. Pascal, Pensiero n. 418,  cit., p. 119.

[vii] C. Giacon, Le grandi tesi del tomismo, Carlo Marzorati Editore, Como 1945, p. 185. Il corsivo è mio
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Maurizio Moscone

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