Dal "dio ignoto" dell'Areòpago al "Volto noto" in Gesù di Nazareth

Conclusione di mons. Bertolone alla presentazione del libro Intervista su Dio

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Conclusione di mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace, alla presentazione del libroIntervista su Dio” al cardinale Camillo Ruini, avvenuta martedì 15 ottobre 2013 presso il Teatro Politeama di Catanzaro.

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«Attualmente, a ogni modo, un’opera di sintesi, e in particolare di sintesi tra fede e ragione, richiederebbe un gigantesco sforzo collettivo che sarebbe estremamente arduo, data la specializzazione degli studi e la complessità degli ambiti di ricerca. Direi, anzi, che una sintesi analoga a quelle del passato sia ormai impossibile, perché nel nostro tempo la cultura e l’intera realtà umana si evolvono assai più rapidamente, rendendo per così dire obsolete le grandi sintesi ancor prima che possano essere portate a compimento» (Intervista su Dio, p. 34).

1. Un’opera di sintesi, ormai impossibile. – Questo afferma Sua Eminenza, Ruini, con l’umiltà e l’onestà intellettuale che lo distinguono alla p. 34 del suo libro Intervista su Dio. Le stesse parole adoperate alla fine del testo per evidenziare il ruolo di intervistatore di Andrea Galli:

«Finora questo libro è stato certamente utile a me stesso: mi ha obbligato a compiere una riflessione complessiva sul mio rapporto con Dio, sulla solidità di questo rapporto e sui motivi oggettivi che lo sorreggono, oltre che sul valore per me. Scriverlo mi è costato fatica, ma lo considero un regalo che il Signore mi ha fatto.

[…] La mia speranza è che il libro possa essere utile a molti: ho cercato quindi di fare una proposta che fosse, per quanto possibile, al tempo stesso semplice e seria, e sono molto grato a lei che con le sue domande mi ha grandemente stimolato e facilitato in questo compito» (Intervista su Dio, p. 276).

Si impongono, mi pare, due aspetti: l’impossibilità, o la possibilità, di una sintesi e lo stile. Ma una sintesi è impossibile?

Il testo prova che una sintesi, ancora oggi, è possibile, almeno sulla grande questione di Dio, affrontata nelle dimensioni della fede e della ragione.

Questo lavoro non è solo una sintesi di temi filosofici e teologici, ma è proprio la tecnica dell’intervista che ne consente l’approccio anche in assenza di conoscenze ad hoc, giacché l’intervista non è che un dialogo, uno scambio tra opinioni.

Quanto alla seconda dimensione, cioè lo stile, è ammirevole l’attenzione con cui l’autore si rivolge ai lettori, che sono soprattutto coloro che ritengono una contraddizione in termini una domanda filosofica su un “oggetto” immenso e inaccessibile. In molte pagine egli entra quasi in punta di piedi nella coscienza altrui, esigendo una “onestà” intellettuale nel senso di riconoscere alla ragione umana, sulla scia del motto dell’Illuminismo, di “osare” in grande: «Al di là della difesa della mia posizione, quel che importa è chiarire la sostanza del problema, superando i fraintendimenti» (p. 98). A cercare di «osare», poi, non è solo la ragione, ma la sua speranza (p. 111). Egli ammette di non avere troppa confidenza con la tecnologia. Infatti definisce il suo rapporto con il computer «scarso e difficile», cosa che lo fa sentire « ben poco attrezzato a parlare di intelligenze artificiali» (p. 115). Non solo: la difficoltà non esiste solo nei confronti della tecnica, ma si manifesta anche con altre posizioni poco scientifiche. Scrive:

«Queste affermazioni, postulate piuttosto che fondate criticamente, mi sembrano tipiche di un modo di procedere che si ritiene scientifico, ma in realtà sfocia in una forma assai precaria di filosofia (per non dire di pseudofilosofia)» (p. 125).

La vera alternativa, sembra dire il cardinal Ruini, non sta né tra ragione e fede, né tra filosofia e teologia, ma tra coloro che radicalizzano le conclusioni delle scienze empiriche presentandole come alternative alle scienze speculative, relegate al rango di “ragioni non fondate”.

Mi pare, perciò, che non sia solo una questione di stile letterario, bensì  la naturale espressione di una persona che ha stile, tanto nella sintesi quanto alla base dell’intero volume, che permette al lettore di avvicinarsi senza soverchie difficoltà ad una questione di per sé difficile, ma affascinante.

2. Mi spiego con una metafora: i cerchi concentrici provocati da un sasso lanciato nell’acqua.

Il sasso è la questione di Dio, il cuore pulsante, la domanda cruciale che il cristianesimo pone al centro di ogni speculazione pervenendo alle meravigliose sintesi medievali delle viae ad Deum e degli itineraria mentis in Deum. Tre cerchiconcentrici: gli infiniti problemi, da quelli più vicini a chi lancia il sasso, a quelli che dal sasso partono; lo stagno, cioè dove i due si muovono: chi lancia e naturalmente gli stessi autori. Il librosviluppa questi cerchi concentrici, cioè quelli che provocano la questione su Dio.

Il primo cerchio (dal primo al terzo capitolo) affronta il tema della fede e della dimensione religiosa in Occidente (e non solo). Il passaggio dal primo al secondo cerchio viene seguito nel 4° capitolo.

Scrive Ruini: «Merita però approfondire il discorso e individuare la ragione positiva per la quale la domanda su Dio è non solo sensata ma inevitabile, per quanto oggi molti possano ritenere difficile e non importante rispondervi» (p. 77).

Domanda sensata, se riferita a certe conclusioni del primo neopositivismo logico per il quale le ragioni su Dio erano “frasi senza senso”. Domanda ineludibile, inoltre, per chiunque riconosca alla ragione il posto di “caratteristica” specifica dell’humanum:    «Mostrare solo a parole che con Dio o senza Dio cambia tutto è assai poco efficace se nella vita concreta le cose rimangono come prima. Perciò la testimonianza personale, e più ampiamente quella della comunità credente, ha un ruolo essenziale nell’aprire i cuori e le intelligenze della fede in Dio». (p. 82)

Quali le possibili strade da percorrere? Questo è l’argomento del secondo cerchio (capitoli dal quinto all’ottavo) dove il lettore è preso per mano e condotto nel mondo della filosofia attraverso tre sentieri: dell’essere, della conoscenza della natura e della libertà, ovvero sentieri di una metafisica «semplice e spontanea: una metafisica, cioè, che è “implicita”, o “latente”, nella conoscenza e nel linguaggio umano, in conseguenza del loro carattere spontaneamente e inevitabilmente “realista”, ossia del loro rapporto costitutivo con l’essere che è l’orizzonte di ogni nostro interrogarci e desiderare» (p. 109) e che viene esemplificata nella meraviglia, nello stupore, che è stato, poi, il punto di partenza della speculazione filosofica greca. D’altra parte, la convinzione di una metafisica latente nella coscienza umana, che il soggetto può progressivamente mettere a fuoco nelle operazioni di coscienza, fino a ritrovare – a partire dal virtualmente incondizionato, il “formalmente” incondizionato -, proviene dalla profonda conoscenza del pensiero del grande metodologo e teologo B.J.F. Lonergan.

Il nono capitolo conduce all’ultimo cerchio dove il lettore è “obbligato” a chiedersi non solo se Dio esista, ma se esiste, “chi è?”. Ecco l’antico procedere della metafisica cristiana: posto il ritrovamento di sentieri razionali e plausibili circa l’esserci di Dio, passare dall’esistenza all’essenza, per ritrovare i cosiddetti attributi, o meglio “proprietà” dell’essenza divina. I percorsi fin qui conosciuti conducono «allo stesso e unico Dio, come sorgente trascendente e incondizionata, intelligente e libera, che dona l’esistenza a noi e all’intero universo. La conoscenza che possiamo avere di lui con la nostra ragione è certamente assai imperfetta, al limite delle nostre possibilità: di Dio sappiamo ciò che egli non è piuttosto che ciò che egli
è…» (p. 171).

L’osare intellettivo perviene  non soltanto all’esistenza, ma alla stessa essenza di Dio, del quale non si può pensare nulla di maggiore, quindi con i caratteri del sempre eccedente. San Tommaso parlava del proprio itinerario a Dio nei termini di un balbutiendo, ut possumus, excelsa Dei resonamus.

Con l’ultimo cerchio, insomma, si passa dalla ragione alla rivelazione. Forse, domanda Andrea Galli, sarebbe opportuno fermarsi qui per non mettere in campo il presupposto della fede e non solo l’ausilio della ragione. La risposta dell’intervistato è:

«… rivelandosi all’uomo Dio gli chiede di credere in lui. Si può studiare la Bibbia e il cristianesimo anche in una prospettiva non credente, ma l’intenzione con cui la Bibbia è stata scritta e il cristianesimo si propone a noi è ben diversa. Questo però non è un motivo per fermarsi a quel che possiamo conoscere di Dio con la ragione: abbiamo visto infatti che la ragione stessa è aperta a qualcosa di più grande, in mancanza del quale le sue domande più profonde rimangono senza risposta… Nell’itinerario che ci accingiamo a percorrere non possiamo quindi presupporre la fede. Cercheremo piuttosto di mostrare come le espressioni storiche della rivelazione di Dio siano dei segni che ci stimolano a credere» (p. 189).

Accanto alla via dell’ascensio ad Deum, c’è quella della descensio di Dio stesso verso l’essere umano in ricerca. In questo senso, l’ala della fede sostiene e rinforza l’ala della ragione nel suo ascendere verso il vero, perfettamente in linea con la Fides et ratio wojtyliana. Il terzo cerchio del volume, insomma, mostra quanto e come la presenza di Dio vada letta alla luce di segni, che potremmo anche definire tangibili, e che trovano la fonte e il culmine nel «Volto del Dio di Gesù Cristo». Quello che era il dio ignoto, cui i filosofi greci avevano lasciato un posto nell’Areòpago, diventa così un Volto noto in Gesù di Nazareth, il Dio stesso che si fa essere umano.

3. Ringraziamenti finali. – Avviandomi ora alla conclusione, ringrazio chi è intervenuto al dibattito, rendendolo vivo ed efficace, e, ovviamente, Sua Eminenza che, accettando l’invito della editrice Rubbettino, è venuto nella nostra comunità diocesana di Catanzaro-Squillace. Desidero ricorrere ad un ulteriore passo del testo:

«Il libro è rivolto a tutti, anche se i problemi affrontati spesso non sono semplici… Scrivendo ho avuto particolarmente presenti le tante persone che hanno oggi una cultura scientifica: spero di aver offerto loro un sia pur minimo aggancio per superare la distanza che spesso sembra separare le questioni scientifiche dalla domanda su Dio» (p. 277).

La sua speranza, Eminenza, non è vana. Lo dico specchiandomi nella sua coerenza di studioso ed anche di guida e pastore della comunità diocesana che è in Roma, a fianco del beato Giovanni Paolo II e come guida illuminata della Cei.

In una società del fugace, dell’effimero, avere nella sua persona, nella sua testimonianza, un sasso, una pietra solida su cui poter edificare e fondare il nostro fragile credere, è un regalo che il Signore ci ha fatto e che per il quale La ringrazio. Paolo VI affermava che la società, specialmente i giovani, ha bisogno più di testimoni che di maestri. Il valore profetico di queste parole si è attuato particolarmente nella vita di un presbitero che, ponendosi sulle orme del Divino Viandante, ha fatto della sua fede in Cristo un caposaldo di coerenza e di stile di vita, il beato P. Pino Puglisi:

«Se vogliamo essere discepoli di Gesù, dobbiamo diventare testimoni di risurrezione… Certo, la testimonianza cristiana va incontro a difficoltà, diventa martirio; e infatti testimonianza in greco si dice martyrion… Dalla testimonianza al martirio il passo è breve, anzi è proprio questo che dà valore alla testimonianza… Per il discepolo testimone è proprio quello il segno più vero che la sua testimonianza è una testimonianza valida» (F. Deliziosi, Don Puglisi, pp. 227-228).

Grazie.

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ZENIT Staff

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