Antakia è oggi una città della Turchia di circa 200mila abitanti situata al confine con la Siria. In Europa, nessuno o quasi ne conosce l’esistenza. Si ignora che questo anonimo centro meridionale della Turchia sia stato, nell’antichità, con il suo mezzo milione d’abitanti, tra le tre più grandi metropoli (insieme a Roma e ad Alessandria d’Egitto) del mondo allora conosciuto. Si ignora, soprattutto, che sino al terremoto del 525 che la distrusse completamente, la vecchia Antiochia costituisse un ricco propulsore commerciale e culturale. Gli storici non esitano, pertanto, a considerarla uno dei pilastri del mondo antico.
Un pilastro che è stato determinante nell’edificazione della storia del Cristianesimo e dunque della civiltà umana tutta. Il contributo che Antiochia ha dato dal punto di vista del vocabolario storico-religioso non ha pari, giacché è qui che, per la prima volta, fu utilizzato il termine cristiani per definire i discepoli di Cristo. Ne danno testimonianza gli Atti degli Apostoli: «…ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani» (11-26).
Antiochia assume poi un’importanza pionieristica anche in altri sensi. È qui che si sviluppò, infatti, il più grande centro di irradiazione missionaria da parte dei cristiani delle origini. Senza Antiochia, ubicata in una posizione di ponte tra la Terra Santa e l’Europa, il messaggio evangelico non si sarebbe mai diffuso nel mondo pagano: «… alcuni fra loro, giunti ad Antiochia, cominciarono a parlare anche ai greci» (Atti 11,20). È da Antiochia che molti missionari partirono per fondare nuove chiese nelle regioni vicine.
Con ogni probabilità, Antiochia è inoltre la città che ospitò San Matteo quando scrisse il suo Vangelo, caratterizzato dalla testimonianza della preghiera Pater, dal racconto dei Magi e della stella, dal discorso della montagna con le otto beatitudini e dalla formula trinitaria del battesimo, con la quale accompagniamo il segno della croce.
Altro elemento che dimostra lo stretto legame esistente tra Antiochia e la storia del Cristianesimo è il fatto che il primo capo della comunità cristiana di Antiochia sia stato un certo Pietro: il primo a sedere sulla famosa Cattedra che ne prende il nome, il primo a venire considerato Papa della Chiesa cattolica. A San Pietro succedette, già con la denominazione di vescovo di Antiochia, Ignazio, annoverato tra i Padri della Chiesa.
Figura, quest’ultima, che assume per il Cristianesimo un connotato importante tanto quanto lo è la città di cui è stato vescovo. Dalle poche informazioni che si hanno oggi a disposizione, non risulta che Ignazio fosse un cittadino romano, sembra altresì si sia convertito al Verbo di Cristo in età adulta. Riusciva ad esercitare un forte ascendente sulla comunità, caratteristica che spinge molti a supporre che ricoprisse, prima di essere investito della carica di vescovo, un ruolo politico ad Antiochia. Stando a quanto riferivano i suoi discepoli, con Ignazio siamo di fronte a un’espressione concreta della locuzione latina nomen omen. Tale era infatti la passione che Ignazio sprigionava durante le sue prediche, da far dire di lui che fosse “di fuoco” così come indica il suo nome, dato che ignis in latino vuol dire fuoco. Benedetto XVI ebbe a dire al riguardo: «Nessun Padre della Chiesa ha espresso con l’intensità di Ignazio l’anelito all’unione con Cristo e alla vita in Lui».
Uomo di grande influenza anche al di fuori dei confini della sua Antiochia, questo predicatore “di fuoco” attirò presto le attenzioni dell’imperatore romano Traiano, il quale dette inizio alla sua persecuzione. Arrestato e condannato ad bestias, Ignazio fu condotto in catene sino a Roma attraverso un lungo e straziante viaggio. Giunto nell’Urbe nell’anno 107, venne sottoposto a un crudele martirio all’interno del Colosseo: sbranato e divorato dalle belve nell’ambito degli spettacoli in onore delle vittorie romane in Dacia.
Fu durante il viaggio che lo condusse da Antiochia a Roma che Ignazio scrisse sette lettere indirizzate a diverse comunità (Efesini, Magnesii, Tralliani, Romani, Filadelfii, Smirnei) e a San Policarpo, vescovo della chiesa di Smirne. Si tratta di uno dei primi esempi di comunicazione sociale cristiana. Le sue lettere trasudano di un caldo amore per Cristo e per la Chiesa, oltre che di un vigoroso zelo apostolico. Malgrado risalgano a un tempo lontano dal nostro, durante il quale le condizioni della Chiesa e la vita dei cristiani erano molto diverse da quelle che conosciamo oggi, specialmente in Occidente, le sette lettere di Sant’Ignazio riescono a veicolare un messaggio che appare assolutamente attuale.
(La seconda parte segue domani, mercoledì 16 ottobre)