Il 9 ottobre 2012 la giovane pakistana Malala Yousafzai, unitamente a un gruppo di coetanei, subisce un attentato da parte dei Talebani che volevano mettere a tacere una bambina che voleva studiare. Il 10 ottobre 2013 il presidente del parlamento europeo Martin Schulz annuncia che Malala verrà insignita il prossimo 20 novembre con il Premio Sakharov per la libertà di pensiero per la sua” incredibile forza”, perché “l’esempio di Malala ci ricorda i nostri doveri e la responsabilità per il diritto all’istruzione dei bambini. Questo è il miglior investimento per il futuro.” La notizia del riconoscimento europeo a Malala giunge alla vigilia della Giornata Internazionale delle bambine indetta dall’UNICEF che denuncia la presenza al mondo di 31 milioni di bambine al mondo private di una qualsiasi forma di istruzione e di 34 milioni di bambine con una istruzione minima. In questo contesto, Malala è ormai il simbolo della lotta per i diritti all’educazione di tutti a prescindere dal credo, dal sesso e dall’origine geografica.
Ma Malala è di più, molto di più. La vita di Malala è un miracolo. E’ sopravvissuta, praticamente senza grandi conseguenze, a un attentato mortale. E’ stata curata a Londra, grazie a un’azione congiunta degli Emirati Arabi Uniti e del governo britannico. Tutto il mondo si è stretto a lei, a sofferto con lei e ora gioisce per lei. Nessuno si è domandato a quale religione appartenesse prima di decidere se pregare per Malala. Era una bambina ferita, in bilico tra la vita e la morte, una bambina vittima della crudeltà di chi non vuole vedere la luce, di chi non ama il sorriso, di chi non prova tenerezza o amore. Non credo che si possa definire un caso quanto le sta accadendo, il fatto che la sua bocca leggermente piegata riesca ancora a sorridere, ma soprattutto a parlare.
Il discorso tenuto lo scorso 13 luglio da Malala presso le Nazioni Unite dovrebbe diventare un manifesto. Il testo rappresenta una rivoluzione, oserei dire che la vera primavera islamica potrebbe iniziare da una seria riflessione sulle parole pronunciate dalla giovane pakistana.
“Non odio nemmeno il talebano che mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano e me lo ritrovassi davanti, non gli sparerei. Questa è la compassione che ho imparato da Maometto, il profeta della misericordia, da Gesù Cristo e Buddha. Questa è la tradizione del cambiamento che ho ereditato da Martin Luther King, Nelson Mandela e Mohammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non violenza che ho imparato da Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa. E’ questo il perdono che ho imparato da mio padre e mia madre. Questo è ciò che la mia anima dice: sii in pace e ama tutti.” Malala è la rivoluzione vera, una rivoluzione copernicana nel mondo islamico. Il messaggio di Malala è universale perché la sua educazione è universale, aperta all’altro, perché Malala non ha studiato in una madrasa pakistana dove si insegna l’islam ultraconservatore, ma soprattutto dove si censura lo spirito critico a favore di un apprendimento mnemonico. Gli esempi citati da Malala appartengono all’umanità intera e sono la diretta conseguenza di letture, di studio, ma soprattutto di una mente libera e aperta. A differenza dei talebani che “pensano che Dio sia un piccolo essere conservatore che punterebbe la pistola alla testa delle persone solo per il fatto che vanno a scuola”. Non stupisce che la sedicenne sia la nemica numero uno dei talebani. Lei è il simbolo della educazione diritto universale di tutti i bambini che se adeguatamente istruiti diventerebbero spine nel fianco dell’estremismo islamico che trova terreno fertile tra la popolazione analfabeta e povera. Non solo, Malala è il anche il simbolo dell’amore e del perdono ovvero di quei sentimenti che sconvolgono e destabilizzano il male. Il suo discorso all’ONU ha riportato alla mia memoria le parole di Elham Manea, eccellente accademica e straordinaria attivista yemenita residente in Svizzera, che nel 2006 di rientro dal Meeting di Rimini scrisse un significativo articolo dal titolo “Dov’è l’amore?”. “Dov’è oggi l’amore per l’uomo, l’amore per l’altro, nella nostra religione? L’amore per l’uomo in quanto uomo. Perché appartenente al genere umano. Perché Dio lo ha creato, come me e come te. Lo ha plasmato dall’argilla. E gli ha dato vita. Ho cercato invano quest’amore. La voce che oggi sentiamo levarsi alta ci dice: “Non amate l’altro!”, “Odiatelo!”, “Non sedetevi con l’altro, non fidatevi!”, “Maleditelo di nascosto!””. Elham Manea, musulmana praticante, riprese questo tema anche a seguito delle reazioni nel mondo islamico per il discorso di Papa Benedetto XVI a Ratisbona, che lei definì “un messaggio chiaro, non diplomatico, in cui si evidenzia un mutamento nel linguaggio del Vaticano. Un messaggio che intende avviare un dialogo su nuove basi. Un dialogo tra culture, non tra religioni”.
Ebbene, Malala rappresenta proprio questo dialogo tra le culture fondato sull’istruzione che conduce alla consapevolezza e alla parola. “Nessuno ci può fermare. Alzeremo la voce per i nostri diritti e la nostra voce porterà al cambiamento. Noi crediamo nella forza delle nostre parole. Le nostre parole possono cambiare il mondo, perché siamo tutti insieme, uniti per la causa dell’istruzione.” Ancora una volta le parole della giovane pakistana ci indicano la via da seguire, quella dei valori universali che non hanno né colore né religione.
Sono certa che se Madre Teresa l’avesse conosciuta le avrebbe detto: “Anche tu sei una piccola matita nelle mani di Dio”.