Correva l’anno 64 dell’era volgare. I cristiani erano stati accusati da Nerone di aver incendiato Roma e per fornire un capro espiatorio al popolo romano l’imperatore decretò l’uccisione di tutti coloro i quali facevano parte di questa nuova setta religiosa. Immediatamente si diffuse una indiscriminata caccia all’uomo ed il panico iniziò a serpeggiare tra gli adepti cristiani. Essere identificati, catturati ed accusati di aver provocato l’incendio di Roma avrebbe significato la morte. In quell’anno l’apostolo Pietro si trovava a Roma e per sfuggire a quanto stava per accadere decise di allontanarsi dalla capitale. Al crocevia tra la via Appia e la via Ardeatina ebbe la visione di Cristo che veniva dinanzi a lui. Pietro meravigliato gli domandò ‘Quo Vadis Domine?’ (‘dove vai o Signore?’) e Gesù gli rispose: ‘Eo Romam iterum crucifigi’ (‘vengo a Roma a farmi crocifiggere di nuovo’). Un messaggio semplice ma estremamente potente nel suo significato più profondo. Pietro doveva tornare a Roma per dare pieno esempio alla cristianità del suo sacrificio e decise quindi di ritornare in città. Fu in seguito a questa scelta che l’apostolo subì il martirio il quale, secondo la tradizione, venne crocifisso sul colle Vaticano a testa in giù.
La tradizione dall’episodio del “Quo vadis, Domine?” è tratta dal testo apocrifo di San Pietro scritto da Leucio Carino, che si vuole fosse stato seguace dell’apostolo Giovanni. Siamo dunque di fronte ad un evento storico/religioso di grande rilevanza, di profondo pathos e che ha sostanzialmente cambiato la storia degli eventi della prima comunità cristiana. Nonostante questo rappresenti uno degli episodi più cari per la religione poi dichiarata ufficiale dell’impero a partire dal Concilio di Costantino, è quantomeno bizzarro il fatto che fino al IX secolo nessuna manifestazione architettonica (e conseguentemente alcuna tradizione) abbia sottolineato l’ormai celebre evento.
Soltanto nel IX secolo infatti, nell’attuale quartiere Appio-Latino, li dove le antiche vie consolari Appia ed Ardeatina si separano, venne costruita una sorta di cappella o una piccola chiesa ad imperitura memoria dell’evento verificatosi alcuni secoli prima. L’attestazione del piccolo edificio ci è nota grazie ad una bolla di papa Gregorio VII datata 1074, incui vengono elencati i beni donati alla basilica di San Paolo fuori le Mura, tra cui compare una Ecclesia Sancta Maria quae cognominatur Domine-quo-vadis. Da questa data l’edificio viene regolarmente citato e spesso viene citato come la chiesa di Sancta Maria ubi Dominus apparuit.
Ciò che vediamo oggi non ha conservato tracce dell’originale fondazione, in quanto trattasi di un rifacimento del XVII secolo ed edificato contemporaneamente all’attiguo convento gestito dalla Congregazione di San Michele Arcangelo (meglio conosciuti come ‘Micheliti’).
L’esterno è assolutamente anonimo e non presenta alcuna particolare caratteristica se non quella dell’addossamento del convento direttamente sul fianco della chiesa, una consuetudine medievale che si traduce in questo caso in un gusto tipicamente barocco. La facciata della chiesa infatti presenta due finti pilastri angolari con semicapitelli che incorniciano un portale architravato con timpano sovrastante e una finestra incorniciata e sormontata da uno stemma araldico dei Barberini. L’interno è molto semplice, ad unica navata, con quel gusto austero e moderno che non lascia spazio alle antiche atmosfere della sacralità dell’origine del luogo. Sull’altare è collocata l’immagine della Madonna del transito, protetta ai due lati da affreschi che rappresentano la Crocifissione di Gesù e la Crocifissione di Pietro. In una lunetta posizionata sopra l’altare è visibile un affresco raffigurante l’Incontro di Gesù con Pietro, i cui soggetti sono presenti anche lungo le pareti laterali. La chiesetta possiede un’unica cappella decorata da un affresco con San Francesco e il panorama di Roma con le sue chiese.
L’unico elemento di carattere storico piuttosto significativo (ed anzi motivo di pellegrinaggio fin da periodi remoti) è la copia (l’originale è conservata nella Basilica di San Sebastiano quando vi venne portata dai frati minori custodi della basilica) di una lastra di marmo posta al centro della chiesa si cui si trovano due impronte di piedi, la cui tradizione vuole siano state lasciate da Gesù. E’ chiaro come questo oggetto lapideo sia stato ‘storicizzato’ per dare una tradizione al luogo, dato che è stato accertato trattasi di un ex voto in onore del dio pagano Redicolo (un esempio è riscontrabile presso i Musei Capitolini) che curiosamente era la divinità protettrice di coloro che ritornavano a Roma dopo essere stati a lungo lontani (detti appunto rediculi).
* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.