"Amare con la benevolenza di Papa Francesco"

Intervento di mons. dal Covolo nella presentazione del nuovo libro di mons. Masciarelli

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Riprendiamo l’intervento di monsignor Enrico dal Covolo, Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense, nella presentazione del volume di mons. Michele Masciarelli, “Il Papa vicino. Francesco e l’odore delle pecore, il popolo e l’odore del pastore, avvenuta lunedì 7 ottobre nella Sala Marconi della Radio Vaticana.

***

Il volume di cui ci occupiamo questa sera – tanto per usare una metafora, in verità più appropriata al pescatore che al pastore – assomiglia al Mar di Galilea, dal quale si possono pescare almeno 153 grossi pesci…

Ci sono anzitutto le tre virtù caratteristiche, che rappresentano lo stile di Papa Francesco: l’umiltà, la semplicità, la benevolenza.

Ci sono poi le dieci parole ricorrenti nel suo linguaggio: Vescovo di Roma, tenerezza, fratellanza, perdono, Chiesa povera per i poveri, anziano, misericordia, preti di compassione, fede, Concilio.

Ci sono anche i tre tripodi del magistero di Francesco. Primo: camminare, edificare, confessare; secondo: verità, bontà, bellezza; terzo: custodire la creazione, custodire gli altri, custodire sé e Cristo.

Il tutto è nutrito da abbondanti riecheggiamenti teologici e poetici, che rendono queste pagine ancor più vere, più buone, più belle.

Non è possibile illustrare in maniera analitica questa ricca pesca.

Così, da buon salesiano, mi limiterò a commentare quella parola che si riferisce in maniera più diretta al carisma di Don Bosco: la parola benevolenza.

In Argentina si dice benevolencia, afecto amoroso, ternura: tutti termini che traducono una parola-chiave, di per sé intraducibile, del vocabolario salesiano. E’ l’amorevolezza, cardine del sistema preventivo di Don Bosco.

Proseguo così, in maniera del tutto personale, l’eco teologica che risuona nelle pp. 31 e ss. del nostro libro, a partire da questa citazione: la benevolenza di Papa Francesco «è bontà mista a ragione… Questa è una nota della pedagogia salesiana. Don Bosco – lo si sa – ha fatto dell’amorevolezza il suo colore dominante, anzi il fondamento metodologico della sua pedagogia preventiva».

Fin qui Masciarelli. E ora proseguo io, prendendo le cose un po’ alla lontana.

L’amore figura come «la punta emergente» nella graduatoria dei valori espressa da un campione di 1000 giovani italiani. Alla domanda: «Quale valore ritieni in assoluto il più importante?», il 99% dei mille ragazzi intervistati ha risposto: «L’amore. L’amore è quel valore che, unico, mi ri­paga della fatica del vivere».

Al riguardo, Sergio Zavoli commentava che questa generazione è, probabilmente, la più «amorevole» che sia mai esistita. Ma poi, da persona intelligente, avanzava un dubbio: chissà se con la parola amore tutti questi giovani intendono alludere alla medesima realtà? Amore è parola abusata, persino lo­gora…

Che cos’è in profondità questo amore, di cui i giovani di sempre (e non solo loro) sono assetati, e quelli di oggi sembrano esserlo in maniera particolare?

E’ questo uno di quegli interrogativi (che cos’è l’amore) dinanzi ai quali chi tenta una risposta si sente subito inadeguato. Quasi gli sembra presuntuoso e ridicolo qualsiasi tentativo.

Tuttavia cercheremo di dire qualcosa, prendendo come punto di partenza qualche riflessione di E. Fromm. In quel best-seller che è L’arte di amare egli scrive: «Amore è soprattutto dare, e non ri­cevere. Che cosa dà una persona a un’altra? Dà se stessa, ciò che possiede di più prezioso… E dare significa fare anche dell’altra persona un essere che dà…» (E. Fromm, L’arte di amare, Il Saggia­tore, Milano 1971, pp. 37-39).

Possiamo commentare così questa frase: amore non è un semplice rapporto di accettazione (anche se l’accettazione reciproca è già molto: quante intolleranze, quante discordie nelle coppie, nelle famiglie, nelle comunità, perché non ci si accetta per quello che si è, e non si accettano gli altri per quello che sono…). Secondo Fromm, infatti, amore vero è qualche cosa di più rispetto al­la semplice conoscenza e accettazione reciproca: amore è quando uno, dimenticandosi di sé, fa es­sere di più la persona che ama.

Potremmo proseguire il discorso di Fromm, e dire – con l’apostolo Giovanni – che il vero amore (quello di chi «si dimentica di sé per far essere di più le persone che ama») è l’amore di Dio, che Gesù Cristo ci ha rivelato: «Nessuno ha un amore più grande» di Gesù, «che dà la vita per i suoi amici», cioè per ognuno di noi. Questo amore trova le sue radici nella vita stessa di Dio. Quello che Gesù ci ha rivelato, infatti, è l’amore che lega tra loro le tre Persone della Trinità divina: il Figlio non poteva rivelarci un altro amore… Ci ha rivelato la carità, perché Dio è carità.

Miserando atque eligendo. La fortissima esperienza di Dio caritatevole e misericordioso conduce Papa Bergoglio sui sentieri dell’amore e della benevolenza.

L’amorevolezza di Don Bosco, la benevolenza di Papa Bergoglio sono proprio questo. Don Bosco nella celebre Lettera da Roma del 10 maggio 1884, chiamata «il poema dell’amore educativo», raccomandava: «Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati… Chi sa di essere amato, ama, e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani».

Allora, quando tu metti in pratica l’amorevolezza come base attiva del processo educativo e, dimenticandoti di te, fai essere di più le persone a cui sei mandato, allora succedono i «mira­coli dell’amore educativo».

Perché, in negativo, occorre ammettere che una persona a cui è negata l’esperienza dell’a­more e che non cresce in un ambiente in cui ci si ama, rimane compromessa nella sua crescita e in tutte le sue esperienze vitali, compresa quella della fede. Ma in positivo possiamo dire che, quando uno riesce finalmente a fare l’esperienza dell’a­more, allora anche atteggiamenti che sembravano irricuperabili appaiono ricuperabilissimi, e ven­gono di fatto ricuperati.

San Giovanni Bosco ha educato così, da innamorato di Cristo, con il cuore del buon Pastore: quel buon Pastore che dà la vita per le sue pecore (cfr. Giovanni 10,11).

In ultima analisi, amare con la benevolenza di Papa Francesco, educare con l’amorevolezza di Don Bosco, significa essere disposti a dare la vita per coloro che noi incontriamo e educhiamo.

Siamo grati a mons. Michele Masciarelli per averci richiamato nel processo educativo la sapienza del cuore di Maria, di Don Bosco, di Giovanni XXIII, di Papa Francesco: perché, lo sappiamo, l’educazione  è cosa di cuore.

* M. G. Masciarelli, Il Papa vicino. Francesco e l’odore delle pecore, il popolo e l’odore del pastore, Tau Editrice, Todi 2013, 190 pp.

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Enrico dal Covolo

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