La pratica dell’aborto selettivo in base al sesso è molto più diffusa di quanto si pensi. È ben noto che in Cina e in India essa sia diffusa, ma ora appare evidente che ciò avviene in numerosi altri paesi.
Genedericide in the Caucasus è il titolo di un articolo dell’Economist pubblicato lo scorso 21 settembre. Vi è descritto come, senza interferenze, normalmente nascono 105 bambini ogni 100 bambine. In Armenia e in Azerbagian il rapporto è di 115/100, mentre in Georgia è di 120/100.
Il rapporto diventa ancor più sbilanciato se il primo figlio è femmina. Lo squilibrio prevale a causa dell’aumento della diffusione di macchine ad ultrasuoni negli ultimi due decenni.
Uno studio pubblicato nell’edizione di giugno di Population and Development esamina la situazione. Nell’articolo L’implementazione delle preferenze per una discendenza maschile di John Bongaarts, viene riconosciuto che in molte società vi è effettivamente una tradizionale preferenza per i figli maschi, tuttavia negli ultimi anni le macchine a ultrasuoni e i metodi contraccettivi hanno rinforzato questa tendenza.
La Cina, ad esempio, nel 2010 è risultata il paese con il più altro squilibrio: 119 maschi ogni 100 femmine. In India il medesimo rapporto è di 108 a 100, tuttavia in numerosi altri stati, si va oltre i 110.
I metodi usati dalle famiglie che preferiscono i maschi sono svariati, spiega Bongaarts. La contraccezione è praticata più frequentemente dopo la nascita di un maschio, piuttosto che di una femmina. L’aborto selettivo sulla base del sesso è assai frequente, con 1 milione e 400mila aborti all’anno in tutto il mondo su un totale annuale globale stimato intorno ai 44 milioni di aborti.
In merito ai trend del futuro, Bongaarts osserva che “c’è una vasta domanda repressa di selezione del sesso”.
L’aborto selettivo in base al sesso è diventato un tema d’attualità in Inghilterra. Lo scorso anno il quotidiano Telegraph ha compiuto una stringente indagine in cui sono emersi due medici dichiaratisi a favore di questa pratica.
A seguito di una serie di ponderose considerazioni, lo scorso mese il Crown Prosecution Service (CPS) ha annunciato che non vi saranno sanzioni contro i medici, poiché non è stata riscontrata alcuna “valutazione di interesse pubblico”.
“Sembra vi sia una situazione in cui, per un capriccio del CPS, le procedure che sono chiaramente esplicitate nell’Abortion Act possono essere completamente ignorate dai medici e dal Servizio Sanitario Nazionale”, ha commentato il dottor Peter Saunders, direttore esecutivo del Christian Medical Fellowship, in un articolo pubblicato sul Telegraph dello scorso 4 settembre.
“Ciò è contrario alla legge. Il Parlamento fa la legge e il CPS dovrebbe metterla in pratica”, aggiunge Andrea Williams, direttore del Christian Legal Center.
In un articolo pubblicato dal Telegraph lo scorso 7 settembre, si accusa il CPS di utilizzare un doppio standard, e si osserva che, se da un lato rifiuta di sanzionare i medici, in precedenza ha preso provvedimenti contro dimostranti pro-life.
L’articolo descrive come il CPS abbia approvato la condanna di due attivisti pro-life cristiani per aver mostrato dei banner grafici fuori da una clinica abortista. Il caso è stato quindi portato in tribunale con il giudice distrettuale Stephen Nichols che ha affermato non fosse il caso di rispondere. L’articolo cita una serie di altri casi simili di azioni intraprese contro attivisti pro-life.
Il malcontento riguardo alla sentenza del CPS non si limita ai gruppi pro-life. Secondo quanto riferito dalla BBC lo scorso 5 settembre, il Segretario alla Salute, Jeremy Hunt ha dichiarato la propria preoccupazione sul caso. Intanto il ministro della giustizia del ‘governo ombra’ laburista, Emily Thornberry ha scritto al Pubblico Ministero richiedendo una urgente revisione della sentenza.
In seguito un gruppo di 50 membri del parlamento ha spedito una lettera al Ministro della Giustizia, affermando che la sentenza è stata “un passo indietro nella lotta per l’uguaglianza tra i generi” (cfr. Telegraph, 14 settembre).
Lo scorso mese, negli Stati Uniti, la Camera dei Deputati ha tenuto un’audizione sul problema dello squilibrio tra i generi in India.
Smith ha spiegato nei dettagli la propria opposizione all’aborto selezionato in base al sesso, in un articolo d’opinione pubblicato lo scorso settembre sul quotidiano Washington Times.
In India mancano dieci milioni di donne a causa dell’aborto in base al sesso e all’infanticidio, commenta Smith. Mentre i fattori culturali hanno giocato un ruolo nella questione, i programmi demografici promossi dagli USA, Planned Parenthood e il Popoulation Council, hanno avuto un significativo impatto negativo sulle donne, ha aggiunto il giornalista.
La dimostrazione di questo impatto emerge poco dopo, quando il 28 settembre, la Reuters ha riferito come in Cina la polizia ha liberato 92 bambini e due donne rapiti da una gang con l’obiettivo di venderli. “Una tradizionale preferenza per i maschi, specialmente nelle aree rurali, e una severa politica del figlio unico, hanno contribuito all’aumento del traffico di bambini e donne negli ultimi anni”, si legge nell’articolo.
Eppure, sulla scia della controversia inglese sulla sentenza del CPS, alcune donne difendono il “diritto” all’aborto sulla base del sesso.
Ann Furedi, direttrice esecutiva del British Pregnancy Advisory Service, non solo afferma che la selezione in base al sesso non è un problema per la Gran Bretagna, ma che in ogni caso, le donne dovrebbero avere il diritto di abortire sulla base del genere (cfr. London Times, 21 settembre).
Ci sono donne che difendono il diritto a ad uccidere selettivamente delle bambine: tuttavia, la legalizzazione dell’aborto ai fini della protezione della donna e della salvaguardia dei suoi interessi, non è forse uno degli argomenti chiave dei gruppi a favore dell’aborto?