C’è un filo rosso che lega papa Francesco ai suoi beati predecessori Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II che, il prossimo 27 aprile, il pontefice regnante canonizzerà: la costante attenzione verso la pace nel mondo.
Papa Bergoglio ne ha parlato stamattina in Sala Clementina, durante l’udienza concessa ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, in occasione delle Giornate Celebrative del 50° anniversario dell’Enciclica Pacem in terris, che si conclude domani.
Alla fine del 1962, con il mondo sull’orlo di un conflitto nucleare, papa Giovanni XXIII elevò un “drammatico e accorato appello di pace” che era “un grido agli uomini, ma era anche una supplica rivolta al Cielo”, ha ricordato papa Francesco.
“I semi di pace gettati dal Beato Giovanni XXIII hanno portato frutti” che si sono concretizzati in particolare durante il pontificato di Giovanni Paolo II, tuttavia “nonostante siano caduti muri e barriere, il mondo continua ad avere bisogno di pace e il richiamo della Pacem in terris rimane fortemente attuale”, ha aggiunto Francesco.
La citata enciclica giovannea spiega che il fondamento della pace “consiste nell’origine divina dell’uomo, della società e dell’autorità stessa, che impegna i singoli, le famiglie, i vari gruppi sociali e gli Stati a vivere rapporti di giustizia e solidarietà”, ha ricordato il Papa.
L’uomo ha quindi il compito di costruire la pace “sull’esempio di Gesù Cristo”, da un lato promuovendo e praticando la giustizia “con verità e amore”, dall’altro contribuendo, “ognuno secondo le sue possibilità, allo sviluppo umano integrale, secondo la logica della solidarietà”.
Inoltre, la Pacem in terris ci ricorda che non può esserci vera pace “se non superiamo egoismi, individualismi, interessi di gruppo e questo a tutti i livelli”.
C’è poi l’aspetto relativo alla “dignità di ogni essere umano” che l’enciclica identifica non esclusivamente con i “principali diritti civili e politici” ma anche con i “mezzi essenziali di sussistenza, il cibo, l’acqua, la casa, le cure sanitarie, l’istruzione e la possibilità di formare e sostenere una famiglia”.
A distanza di mezzo secolo, ha osservato il Santo Padre, c’è da chiedersi se i principi della Pacem in terris siano davvero acquisiti nella realtà e se trovino “riscontro nello sviluppo delle nostre società”.
L’enciclica giovannea non si prefiggeva di dettare l’agenda al mondo laico e alla politica ma piuttosto “mirava a orientare il dibattito internazionale secondo queste virtù”.
Al giorno d’oggi, notevole è l’attualità della Pacem in terris in merito alle “res novae” trattate nel convegno di questi giorni come “l’emergenza educativa, l’influsso dei mezzi di comunicazione di massa sulle coscienze, l’accesso alle risorse della terra, il buono o cattivo uso dei risultati delle ricerche biologiche, la corsa agli armamenti e le misure di sicurezza nazionali ed internazionali”.
La “inumana” crisi economica globale, poi, “è un sintomo grave della mancanza di rispetto per l’uomo e per la verità con cui sono state prese decisioni da parte dei Governi e dei cittadini”: in tal senso la Pacem in terris suggerisce “un ripensamento del nostro modello di sviluppo e di azione a tutti i livelli, perché il nostro mondo sia un mondo di pace”, ha detto papa Francesco, aggiungendo: “Mi domando se siamo disposti a raccoglierne l’invito”.
Il Pontefice ha concluso l’udienza, ricordando “con grande dolore” l’ennesimo naufragio avvenuto a largo di Lampedusa. “È una vergogna!”, ha detto, chiedendo poi di pregare per le vittime e l’unione dei “nostri sforzi perché non si ripetano simili tragedie”.