Sarà un po’ scorretto affermarlo, specialmente in queste ore, durante le quali il Parlamento sta discutendo un controverso disegno di legge contro l’omofobia. Eppure, in Italia, se una discriminazione tangibile e perniciosa esiste, è quella cui sono sottoposte non le minoranze, bensì le famiglie naturali, composte da un uomo e da una donna sposati. Un danno accompagnato da una beffa che rende sgomenti, poiché a discriminarle è proprio chi dovrebbe, al contrario, adoperarsi per garantire alla famiglia tutela e opportunità di crescita. Ovvero, lo Stato.
Un documento preparato dalle Acli di Brescia, infatti, dimostra che nel Belpaese l’istituto familiare è fortemente penalizzato. In termini fiscali, alle giovani coppie conviene paradossalmente evitare il “grande passo”. «In Italia sposarsi è un’impresa finanziariamente ardua» riferisce Roberto Rossini, presidente provinciale delle Acli. Per questo motivo la sezione bresciana dell’associazione fondata da Achille Grandi ha deciso di lanciare questo provocatorio documento intitolato “Dieci buoni motivi per non sposarsi in Italia”. Una sferzata all’indirizzo dei politici.
«Lavoro e famiglia sono i due termini che vengono maggiormente pronunciati dalla classe politica – riferisce Rossini – ma all’atto pratico, soprattutto sul tema della famiglia, vediamo tantissima povertà produttiva, si fa veramente poco, nonostante la moltitudine di proposte portate avanti; basti pensare al quoziente familiare e al fattore famiglia».
Per avere un’idea del desolante livello di negligenza delle istituzioni rispetto al tema della famiglia, basta scorrere lo sguardo sull’elenco di penalizzazioni fiscali riportato dalle Acli di Brescia. I “dieci buoni motivi” sono i seguenti: l’indicatore Isee, le detrazioni Irpef per figli a carico, l’assegno familiare, l’esenzione del ticket, l’iscrizione all’asilo nido, l’assegnazione delle case popolari, il sostegno all’affitto, il percepimento dell’assegno sociale, l’integrazione al trattamento minimo e la pensione di reversibilità. «In tutti questi casi – afferma Rossini – la famiglia è più svantaggiata rispetto, ad esempio, a una coppia di fatto».
Spiega poi Rossini che, nell’atto di iscrivere un figlio all’asilo nido, una ragazza madre ha un punteggio più alto rispetto a quello di un genitore sposato. Tuttavia il Comune, che assegna i punteggi, non può sapere se la ragazza madre sia vera o presunta, ossia se convive ma – per ottenere agevolazioni – non lo dichiara. «Evidentemente – avverte Rossini – rispetto alla famiglia, la coppia di fatto ha dei vantaggi innegabili». Una constatazione che ha spinto molte coppie verso un gesto, quello di separarsi, che è avvilente, viepiù se compiuto a causa dell’acuirsi di problemi economici.
«Se lo Stato pensasse a qual è il ruolo pubblico della famiglia – conclude il presidente delle Acli di Brescia – nel caso di un uomo e donna che decidono di sposarsi, proprio perché assumono un ruolo pubblico, andrebbero premiati dal punto di vista fiscale». Numerose ed essenziali, del resto, sono le funzioni espletate quotidianamente, in modo gratuito dalla famiglia. Per esempio, l’educazione e il sussidio dei figli, il sostentamento dei malati, dei disabili, degli anziani, la cura e il mantenimento dei minori.
Anche se la famiglia non è rappresentata da nessuna rumorosa lobby, qualcuno, all’interno dei Palazzi, dovrebbe ricordarsi che essa resta l’insostituibile perno della società. E, di conseguenza, riordinare le urgenze della propria agenda politica. Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa dichiara: «Senza famiglie forti nella comunione e instancabili nell’impegno, i popoli si indeboliscono […] In essa si fa l’apprendistato delle responsabilità sociali e della Solidarietà».