[La prima parte è stata pubblicata ieri, mercoledì 18 settembre]
A causa dell’ampio impatto internazionale del mio impegno di restauro, di accoglienza e di dialogo al Monastero di Mar Musa, godetti indubbiamente di uno spazio di parola e di una libertà di opinione incomparabilmente più largo dei normali cittadini, obbligati a portare fin dalla più tenera infanzia il cervello all’ammasso della manipolazione di Regime la più priva di scrupoli e costruita su un nazionalismo sempre in diritto di schiacciare, anche in coscienza, gli individui per l’affermazione del soggetto collettivo rappresentato dal Duce (Qa’id, in Arabo).
Fui presto oggetto di critiche aspre e di accuse ingiuste proprio perché la mia libertà di parola sembrava impossibile ai più, anche se era sempre limitatissima e molto auto controllata se paragonata alla situazione per esempio europea.
Era un gioco in fondo leale: io offrivo un volto che illustrava internazionalmente l’apertura e il pluralismo almeno programmatico del potere siriano e loro accettavano ch’io mi comportassi come se la democrazia, seppur non perfetta, fosse già almeno in fieri.
Ho lavorato continuativamente nella prospettiva del successo dei negoziati di pace nella visione di un Medio Oriente riconciliato nella giustizia. Per questo ho operato per il successo del cammino di Abramo (the Abraham Path Initiative) nonostante le accuse di sionismo strisciante rivoltemi dai nazionalisti più settari e antisemiti.
Ho curato le amicizie sincere e solidali con i movimenti palestinesi rappresentati a Damasco di diversi orientamenti politici, ed ho curato a nome della Chiesa le nascenti relazioni con il movimento islamista palestinese Hamas.
Ho sempre dichiarato che l’islamismo politico è una grande realtà regionale e che non è immaginabile che si debba rinunciare alla democrazia, ai diritti civili e all’autodeterminazione dei popoli per continuare a sopprimere il programma islamista, sia esso salafita o dei Fratelli musulmani o di gruppi più o meno moderati.
Si tratta di un soggetto politico plurale non aggirabile ma tuttavia esposto ad evoluzione, spesso rapida. Per questo ho sempre curato la relazione coi leader naturali, scelti e seguiti dalla piazza e dal popolo delle moschee, dei musulmani siriani, rifiutandomi di appiattirmi sulle autorità approvate e nominate dal Regime.
È evidente che la guerra è raramente una soluzione e comunque è una soluzione cattiva e claudicante. Tuttavia con l’insegnamento tradizionale della Chiesa dichiaro, nonostante i rischi di equivoci stridenti e di ipocrisie criminali, la legittimità della guerra giusta, il diritto alla difesa armata, il dovere di proteggere i paesi e le popolazioni vittime di aggressioni violente interne e o esterne. Nonostante questo incoraggio e mi impegno per la pratica e il successo delle azioni nonviolente.
Penso alla non violenza attiva, politica, come ad una trascendenza dei conflitti. Non è essa sempre un’alternativa praticabile di per sé, ma essa è sempre necessaria. Molto più di un correttivo integrativo, prima durante e dopo i conflitti armati, la non violenza dialoga, testimonia, critica, assiste, apre vie di riconciliazione, va oltre!
Quando Assad figlio prende il potere nel 2000 si riaccesero le speranze per un cambiamento democratico incruento che potesse riconciliare la società siriana profondamente divisa e sofferente dietro la facciata delle realizzazioni gloriose del Regime.
Anche la visita del Papa nel 2001 aveva la valenza di un segno di speranza, benché l’anno precedente la visita a Gerusalemme era stato l’ultimo momento di calma prima dell’inizio della seconda tragica intifada palestinese.
La breve Primavera di Damasco è soffocata da una repressione il più dolce possibile per evitare di perdere quel credito che la società accorda al Dott. Bashar, per non perdere speranza nel futuro”.
Di Padre Paolo si dice ormai tutto e il suo contrario. La sua azione, l’attività di dialogo interreligioso è sostenuta internazionalmente, la preoccupazione ambientale e di lotta alla desertificazione è considerata esemplare, il lavoro di restauro artistico e valorizzazione culturale e spirituale del luogo di pellegrinaggio ha un vasto impatto. Insomma, Padre Paolo può permettersi di parlare di riforma con franchezza; scrive per dieci anni una lettera all’anno al Presidente Bashar al Assad cercando di consigliare delle riforme concrete ed effettive. Prima che sia troppo tardi.
“Dal 2010 la decisione di regime è presa: l’attività di dialogo è vietata, le conferenze sono impossibili anche su questioni di energia solare, i miei amici sono inquisiti…Il turismo iper controllato. Alla fine il mio permesso di residenza è ritirato; resto in Siria senza documenti di residenza e quindi non posso più viaggiare…Ma intanto la Primavera araba è iniziata. Si spera ancora che Bashar, magari con l’aiuto della bella e sensibile consorte, possa mettersi alla testa di una riforma radicale del suo paese, utilizzando la Primavera come di uno strumento per esautorare le vecchie magie familiari… Nulla da fare, da Marzo 2011 è chiaro che la scelta della repressione incondizionata è la scelta strategica… Tutto il resto, quanto a dialogo e riforme cosmetiche, non è altro che prender tempo per evitare l’intervento internazionale e fumo negli occhi dell’opinione pubblica.
La versione ufficiale della manipolazione mitica di stato è pronta: non c’è nessuna rivoluzione, ma solo l’azione dei terroristi islamisti radicali … I democratici sono fatti a pezzi in prigione, gli islamici sono criminalizzati e spinti a realizzare la tesi di Regime sulla natura terrorista del movimento … Posso assicurare che sono meno isolato tra i cristiani siriani di ciò che si può immaginare, la mia voce però è una delle poche note che si siano levate a dire che noi cristiani non possiamo rimanere col Regime torturatore e oppressore e neppure possiamo restare neutrali. La storia è a un punto di non ritorno, e noi da che parte siamo?
Immaginiamo per un attimo che, anche con l’aiuto determinante dei cristiani, il Regime riesca a schiacciare la rivoluzione… Possiamo prevedere 500 mila morti e 10 milioni di fuoriusciti… Cosa rimane della nostra testimonianza cristiana? Anche ad ipotizzare l’improbabile ritorno in Siria dei cristiani, cosa ci torneranno a fare dopo aver accettato un simile genocidio? Il resto di questa tragica vicenda, compresa la mia espulsione un anno fa, si potrà leggere nel libro, Collera e Luce”.