ll 9 luglio scorso la maggiore agenzia di rating mondiale, Standard & Poor’s (S&P), la stessa agenzia che nel 2008 poco tempo prima del fallimento Lehman and Brothers, aveva emesso un giudizio positivo sulla banca d’affari americana (“ci si poteva mettere la mano sul fuoco”), ha declassato il rating dell’Italia a BBB (la stessa valutazione del Perù), con outlook negativo (prospettive negativo, ossia ci sono il 30% di possibilità che il rating venga ulteriormente abbassato nel corso del 2013-2014) .
La motivazione esplicita di questa penalizzazione secondo S&P è dovuto alla mancanza di attuazione delle riforme strutturali da parte dei governi che si sono succeduti.
Si tratta di un giudizio molto grave che pone i titoli di stato italiani appena due categorie di rating sopra la valutazione di titoli spazzatura.
Questo ha delle pesanti conseguenze sia di breve che medio lungo periodo (nel caso si dovesse arrivare in futuro a tale valutazione), sul costo del debito pubblico che l’Italia deve e dovrà pagare. Imporrà ulteriori tagli devastanti che incideranno sulle carne viva delle famiglie e delle imprese.
Difatti, tutto ciò peserà ancor di più sulla capacità/volontà del sistema bancario di concedere finanziamenti all’economia reale alimentando la spirale perversa di recessione e povertà.
Ma entriamo nei particolari: Standard and Poor’s giustifica questa sua decisione sulla base di tre motivazioni principali.
Si fa notare come le prospettive di crescita del Prodotto Interno Lordo (Pil) per il 2013 risultino peggiorate rispetto a qualche mese fa.
Il Pil italiano attualmente di situa intorno al -1.9% (la stima precedente dall’agenzia di rating americana era del -1.4%).
La seconda osservazione riguarda gli obiettivi di bilancio per il 2013, considerati difficilmente raggiungibile a causa sia dell’aggravarsi della recessione sia per le misure di sospensione dell’Imu e dell’aumento di un punto percentuale di Iva.
Una terza osservazione riguarda il fatto che non vengono riscontrati progressi nell’attuazione di quelle riforme strutturali che, a loro parere, permetterebbero di superare le rigidità nel mercato del lavoro e in quello dei prodotti.
S&P, in linea con il mainstream della teoria neoliberista, considera queste rigidità come il principale limite alla crescita potenziale della nostra economia.
A mio avviso le misure proposte da S&P per evitare ulteriori declassamenti, lasciano alquanto perplesso sia dal punto di vista della giustizia sociale, della solidarietà e della tenuta democratica, sia dal punto di vista tecnico.
Quale giustizia sociale, quale solidarietà, quale democrazia può perseguire la finanza speculativa, rappresentato da poche persone (di cui S&P è uno dei massimi esponenti), che nessuno ha votato, quando emette le sue “valutazioni” interessate che incidono sulla carne viva e sui destini di miliardi di persone?
In questo senso vanno le parole di Papa Francesco: “I pochi ricchi diventano sempre più ricchi mentre la maggioranza si indebolisce… le deformità dell’economia e della finanza… L’essere umano è considerato egli stesso come un bene di consumo che si può usare e poi gettare. Abbiamo incominciato una cultura dello scarto” (Dal Discorso di Papa Francesco del 16.5.2013, per la presentazione da parte di cinque nuovi ambasciatori presso la Santa Sede delle loro credenziali: Kyrgyzstan, Antigua e Barbuda, Lussemburgo, Botswana).
L’intervento del Pontefice si è svolto in una cornice non casualmente formale, Paesi forse di non primissimo piano sulla scena internazionale, ma quel che contava era il contesto diplomatico che ha dato una risonanza universale all’intervento di Bergoglio. Cosi come avvenuto nella favelas Varginha, dove ha affermato: “il popolo brasiliano, in particolare le persone più semplici, può offrire al mondo una preziosa lezione di solidarietà, una parola – questa parola solidarietà – spesso dimenticata o taciuta, perché scomoda. Quasi sembra una brutta parola … solidarietà. Vorrei fare appello a chi possiede più risorse, alle autorità pubbliche e a tutti gli uomini di buona volontà impegnati per la giustizia sociale: non stancatevi di lavorare per un mondo più giusto e più solidale! Nessuno può rimanere insensibile alle disuguaglianze che ancora ci sono nel mondo! Ognuno, secondo le proprie possibilità e responsabilità, sappia offrire il suo contributo per mettere fine a tante ingiustizie sociali. Non è, non è la cultura dell’egoismo, dell’individualismo, che spesso regola la nostra società, quella che costruisce e porta ad un mondo più abitabile; non è questa, ma la cultura della solidarietà; la cultura della solidarietà è vedere nell’altro non un concorrente o un numero, ma un fratello. E tutti noi siamo fratelli!”
Dal punto di vista tecnico: da più fonti, da ultimo il Fondo Monetario Internazionale, si denuncia l’incapacità di comprendere le vere cause dell’attuale recessione e le ricette per uscirne.
(La seconda parte segue domani, lunedì 29 luglio)