"Genesi", Salgado

La mostra fotografica, all’Ara Pacis di Roma, sino al 15 settembre

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Dopo la Parigi di Robert Doisneau ed i nudi di Helmut Newton, un’altra importante mostra fotografica, rigorosamente in bianco e nero, è visitabile nella città di Roma in questo 2013 (1). 

Oltre 200 scatti, dai luoghi più impervi ed estremi del mondo, immortalano piccoli nuclei di uomini e donne dei ghiacci siberiani, delle foreste amazzoniche e dei deserti africani, sovrastati dall’immensità delle acque, delle montagne e dalle moltitudini di animali stanziali (pinguini, albatros, leoni marini) o migranti (come le renne). Foto di grandi dimensioni, con le geometrie della natura che compongono opere d’arte. 

Affascinante contraltare di un altro importante evento fotografico di Sebastiao Salgado avvenuto nel 2000 a Roma, quando, con la mostra “In cammino”, il soggetto degli scatti fu la sofferenza delle migliaia di donne e uomini delle periferie asiatiche (Bombay), delle guerre africane (Ruanda), della ricerca di lavoro e della libertà al confine tra Messico e Stati Uniti. 

La mostra “Genesi”, curata da Lélia Wanick Salgado, moglie di Salgado e proprietaria della macchina fotografica Leica che il fotografo brasiliano prese in mano agli inizi degli anni ’70 (cioè all’età di quasi trent’anni), “è frutto di otto anni di lavoro e oltre 30 reportage. Abbiamo deciso di suddividere il globo in cinque parti per presentarlo al pubblico”. E cioè il Sud del Pianeta, l’Africa, I Santuari (ovvero le isole), l’emisfero Nord del mondo e l’Amazzonia. 

Salgado (che compirà 70 anni l’anno prossimo), brasiliano, è cresciuto come economista e sostenitore della diversificazione delle colture in Africa, prima di comprendere quanto la duttilità dello strumento fotografico fosse utile per supportare le proprie idee. Nel 1998 fonda con la moglie Lélia, l’Istituto Terra per la riforestazione della fascia atlantica brasiliana e più in generale, per portare attenzione sul tema dell’educazione ambientale. 

E’ certamente il confronto con l’uomo moderno e con i suoi standard di vita l’aspetto più impressionante della mostra, per il visitatore europeo o urbanizzato. I Korowai che vivono nelle loro capanne a circa venti metri d’altezza sugli alberi in Papua occidentale; le donne Mursi, in Etiopia, che sono le ultime con i dischi labiali; gli uomini sciamani Kamayura, in Brasile, con il sacerdote più importante con il cappello di pelle di giaguaro, sembrano uomini e donne della primordi dell’umanità. Questo, tuttavia, non è certamente, l’obiettivo ed il senso del lavoro di Salgado. 

Come scrive l’autore nella introduzione, in Genesi “non ho voluto assumere l’atteggiamento dell’antropologo, né dello scienziato. Io sono andato a fotografare come semplice curioso; per vedere, prima di tutto, e poi per mostrare ad altri quel che mi aveva toccato nell’intimo. Non solo. Credo sia la prima volta che fotografo altre specie animali. Io ho sempre fotografato una sola specie: noi uomini. La mia impostazione è quella del fotografo e giornalista. Con massimo rispetto mi sono avvicinato alle altre specie, animali, vegetali, minerali e ho compreso che tutto ciò che esiste di utile, di importante, di essenziale nel nostro mondo, esisteva già in un tempo anche lontano. Nelle società così dette primitive esisteva già un’idea di solidarietà, di società, di amore. Esisteva l’assistenza, le medicine, persino gli antibiotici e gli antinfiammatori. Noi non abbiamo fatto altro che sistematizzare queste conoscenze”. 

NOTE 

1) Le informazioni sulla mostra si possono acquisire sul sito del comune di Roma e sul sito dell’Ara Pacis.

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Antonio D'Angiò

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