"Essere missionari: Andate!"

La terza catechesi di mons. Enrico dal Covolo

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Pubblichiamo il testo della terza e ultima catechesi preparata per la GMG di Rio 2013 da monsignor Enrico dal Covolo, SDB, rettore magnifico della Pontificia Università Lateranense di Roma.

La catechesi era programmata per domani, venerdì 26 luglio.

***

Il tema di questa catechesi ci invita anzitutto a contemplare un modello di missione: quello di Maria, “pellegri­na nella fede”, e la testimonianza suprema della sua condivisione con il Figlio, fino al Calvario. La donna riempita di grazia, la donna coerente nella risposta, è anche la donna che condivide fino in fondo la missione del suo Figlio.

Lasciando sullo sfondo questa storia esemplare di vocazione (ci torneremo alla fine), svolgeremo adesso una vera e propria lectio divina sul capitolo 18 del Vangelo di Matteo: il di­scorso di Gesù alle guide della comunità.

1. Lettura (Matteo 18)

Leggiamo solo la domanda introduttiva dei discepoli e la prima parabola del capitolo.

“I discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: ‘Chi è il più grande nel regno dei cieli?’. Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: ‘In verità, in verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perché chiunque diventa piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli’…

‘Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta? Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così il Padre mio celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli’”.

2. Meditazione

Diamo ora uno sguardo complessivo alla struttura del capitolo.

Esso consta di due parti, sostanzialmente simmetriche tra loro. Infatti ognuna di esse con­tiene una domanda dei discepoli (18,1 e 18,21) e una risposta di Gesù, che include anche una pa­rabola.

La domanda della prima parte del capitolo è espressa dai discepoli in questi termini: “Chi è il più grande nel regno dei cieli?”. Allora Gesù prende un bambino, e spiega che, se non si faran­no piccoli così, non entreranno nel Regno. Poi sposta il discorso sullo scandalo. Guai a voi, dice, se scandalizzerete una di queste persone semplici… E conclude con una breve parabola, quella del­la pecorella smarrita, riportata anche in Luca 15. Ma qui, in Matteo, la parabola della pecorella smarrita ha un senso un po’ diverso: in Luca è la parabola di Dio misericordioso, padre del figlio prodigo, che lascia le novantanove pecore per cercare quella che si era perduta; in Matteo, invece, è la parabola di ogni cristiano e della comunità, che non può “perdere di vista” le pecorelle più deboli. In Luca l’accento va sulla misericordia di Dio; in Matteo, invece, l’accento va sull’impegno – sempre di Dio, ma anche del discepolo – affinché nessuna pecorella vada perduta.

Che cosa significa questo per noi?

Per non scandalizzare, per non perdere di vista la pecorella più debole, per essere “grandi in senso evangelico”, individui e comunità devono essere realmente “sbilanciati” dalla parte di chi ha più bisogno, capaci di condivisione fino al sacrificio supremo…

Lo stesso discorso prosegue nella seconda parte del capitolo. Qui la domanda è di Pietro, che si avvicina a Gesù e gli chiede: “Maestro, quante volte dovrò perdonare? Fino a sette volte?”. Gesù risponde: “Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette”. E racconta la parabola del re misericordioso e del servo spietato, concludendo in modo estremamente impegnativo: infatti Gesù intende dire che il comportamento del discepolo deve essere simile al comportamento di Dio. Nel caso specifico del perdono, occorre perdonare con la stessa misura con cui Dio perdona a noi: vale a dire, senza misura.

Ne consegue un insegnamento molto importante, che possiamo applicare a noi e alle nostre comunità: quella “condivisione con il piccolo” e quell'”amore ricco di misericordia” – di cui parla­no le due parti del capitolo 18 di Matteo – restano dei valori irrinunciabili per la missione di ogni comunità cristiana e di tutti i credenti, chiamati a diventare “segno” profetico di solidarietà, pre­cisamente nella direzione indicata da Matteo: la linea dell’attenzione privilegiata al piccolo, e del perdono reciproco senza condizioni.

Conviene ribadirlo: per essere un autentico missionario, ogni credente deve perdonare sen­za misura, sbilanciandosi – all’interno e all’esterno della comunità – dalla parte del povero. Anzi, il “sistema preventivo” dell’attenzione privilegiata ai piccoli deve iniziare all’interno stesso delle comunità.

Solo se c’è questo “sbilanciamento interno” potrà essere credibile lo “sbilanciamento esterno”, la missione verso i più bisognosi.

Ma non si rischia così di mortificare chi è più ricco di doti? Una simile condivisione non rischia di “appiattire” le comunità? Risponde D. Bonhoeffer, che aveva meditato a lungo sul capi­tolo 18 di Matteo, prima dell’esecuzione capitale nel carcere di Flossenburg: “Ogni comunità cri­stiana deve sapere che non solo i deboli hanno bisogno dei forti, ma anche i forti non possono fa­re a meno dei deboli. L’esclusione dei deboli è la morte della comunità” (La vita comune, trad. it., Brescia 1969, pp. 143-144).

E’ questo l’itinerario della croce e del servizio, quello perseguito da Gesù e da Maria fino al Calvario. Chi è più grande? Più grande è colui che si fa piccolo, chi – per servire – da ricco si fa povero, e nulla considera un privilegio per sé.

3. Per la preghiera e per la vita

Ogni chiamata, ogni risposta sono per la missione. Ma il “luogo” per comprendere a fondo la portata della missione è la croce del Golgota.

L’itinerario della vocazione passa di lì. Non è possibile la “circonvallazione del Calvario”.

Persone e comunità sono mandati da Gesù per essere “segni della croce”, cioè di perdono senza misura, sbilanciati dalla parte di chi ha più bisogno. Ma questo discorso può essere capito e attuato solo a partire dalla logica evangelica, che si manifesta precisamente nel “segno della cro­ce”.

Così Maria capisce la portata della sua missione materna solo ai piedi della croce. In quel momento di estrema condivisione con la passione di Gesù essa, illuminata dalle pa­role del Figlio, scopre e definitivamente accetta la sua nuova maternità.

Anche noi, ai piedi della croce, troveremo la forza di convertirci, di aprirci al perdono, di servire gli ultimi, e di andare così nella missione.

Fedeli alla stessa logica della missione, le nostre comunità dovranno porsi alla ricerca “di esempi concreti, di gesti significativi, di fatti emblematici” (C.M. Martini), che ne scuotano il grigiore e l’affanno, e le rendano veramente sbilanciate verso la ricerca e l’ascolto dei lontani e dei non credenti: comunità attente a suscitare e a coltivare le grandi vocazioni cristiane, preparate a testimoniare la fede nell’immenso campo dei bisogni e delle realizzazioni sociali.

Proponiamoci infine le domande del discernimento.

* Maria scopre in pienezza la sua missione di Madre, e la dilata a raggio universale, ab­bracciando la croce del suo Figlio Gesù. Sono disposto a crescere così nella mia storia di vocazio­ne, cioè a scoprire in profondità la missione attraverso il magistero della croce, del sacrificio, di un dono che passa attraverso il rinnegamento e lo smacco?

* Accetto insomma che il sacrificio sia il “crocevia della missione”?

+ Enrico dal Covolo

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Enrico dal Covolo

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