L’aumento del numero delle coppie conviventi negli ultimi anni può portare alla conclusione che essere sposati non faccia la differenza: una supposizione non condivisa da alcuni studi sulle coppie.
Lo scorso mese la RAND Corporation ha pubblicato uno studio dal titolo: Cohabitation and Marriage Intensity: Consolidation, Intimacy, and Commitment (L’intensità della convivenza e del matrimonio: consolidamento, intimità e impegno), di Michael Pollard e Kathleen M. Harris.
I due ricercatori hanno studiato varie fonti di dati riguardo alle coppie sposate e a quelle che hanno convissuto.
Riguardo al concetto di consolidazione, lo studio rileva che solo il 16,1% delle donne che convivono, affermano di avere conti in banca condivisi con i loro partner, rispetto al 68,5% delle donne che, prima del matrimonio hanno convissuto e al 72,1% delle donne sposate, senza aver convissuto precedentemente.
Parimenti, solo il 40,1% delle donne conviventi affermano di aver acquistato beni o servizi per oltre 500 dollari, assieme ai loro partner, rispetto a oltre l’80% delle donne sposate (con o senza convivenze precedenti).
Il rapporto riconosce che il livello di consolidamento differisce a seconda della durata della convivenza, ma anche così “possiamo vedere che le convivenze che durano oltre un anno ancora non raggiungono gli stessi livelli di consolidamento dei matrimoni con meno di sei anni”.
Venendo al livello di intimità, il rapporto rileva risultati simili, con i conviventi che riportano significativamente livelli più bassi di intimità, rispetto alle coppie sposate.
Anche per ciò che riguarda l’impegno, le coppie conviventi riportano livelli più bassi rispetto alle coppie sposate. Il rapporto osserva che i conviventi, come è prevedibile, hanno molte meno certezze in merito alla durata della loro relazione, e il livello dell’impegno è più basso, in particolare tra gli uomini.
“Presi insieme, i risultati indicano una distinta differenza nell’intensità della relazione tra i conviventi e le coppie sposate”, conclude lo studio.
<p>Anche la England’s Marriage Foundation rileva una sostanziale differenza tra le coppie sposate e quelle conviventi.
Nel rapporto, pubblicato lo scorso 22 maggio, The Myth of Long-Term Stable Relationships Outside Marriage (Il mito delle relazioni stabili a lungo termine fuori dal matrimonio), di Harry Benson, la Fondazione britannica mette in luce che le coppie che non si sposano, raramente riescono a procurare una solida e stabile dimora per i loro figli.
Il rapporto afferma che il 45% degli adolescenti tra i 13 e i 15 anni non vivono più con i loro genitori. Degli adolescenti che ancora vivono in una famiglia unita, il 93% ha genitori sposati.
“Il rapporto si sofferma sul fatto che il Governo ha ignorato la forte correlazione tra lo status maritale e la rottura familiare e mette in luce, invece, le ‘relazioni stabili e durature’, durante lo sviluppo di documenti di politica familiare”, ha dichiarato la Marriage Foundation in un comunicato stampa.
“Con la rottura familiare che costa all’incirca 46 sterline l’anno – più dell’intero bilancio della Difesa – oltre all’incommensurabile danno sociale, è chiaramente nell’interesse del governo e di chi paga le tasse, uno sforzo per arginare questo trend devastante”, commenta l’autore del rapporto, Harry Benson.
La rimozione del matrimonio dai documenti del programma di governo è incompatibile con l’evidenza, afferma il rapporto.
“Un gran numero di fattori mostra che i genitori sposati tendono ad essere più stabili dei genitori non sposati”, si legge nel rapporto.
Un ulteriore rapporto pubblicato il 24 giugno dalla Marriage Foundation rileva che i tassi di divorzio non sono condizionati dalle condizioni economiche.
Taluni hanno affermato che vi sono più rotture matrimoniali durante le recessioni economiche, a causa delle pressioni finanziarie. Altri, nota il rapporto, affermano che la recessione economica provoca meno divorzi, poiché le coppie evitano la spese della separazione e di dover così comprare una seconda casa.
Secondo lo studio It’s Not About the Economy: Another divorce myth bites the dust (Non è l’economia: un altro mito sul divorzio nella polvere, nessuna di queste due posizioni è confermata dai fatti degli ultimi anni.
Dagli anni ’70, spiega il rapporto, i tassi di divorzio sono sempre stati più o meno intorno al 10% degli standard degli anni precedenti.
In tre periodi di declino economico, dal 1979, i tassi di divorzio sono saliti in due casi e sono scesi in un altro caso, afferma il rapporto. Sembra come se il matrimonio fosse più forte dei soldi.
“Il primo ambiente in cui la fede illumina la città umana è la famiglia”, ha sottolineato papa Francesco nella sua prima enciclica Lumen Fidei (52).
“Penso anzitutto all’unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio. Essa nasce dal loro amore, segno e presenza dell’amore di Dio, dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale, per cui i coniugi possono unirsi in una sola carne (cfr Gen 2,24) e sono capaci di generare una nuova vita, manifestazione della bontà del Creatore, della sua saggezza e del suo disegno di amore”, spiega l’enciclica.
La credibilità di questo saggio e amorevole piano sta diventando sempre più evidente, nella misura in cui vengono documentate le conseguenze dell’indebolimento del matrimonio.
“Promettere un amore che sia per sempre è possibile quando si scopre un disegno più grande dei propri progetti, che ci sostiene e ci permette di donare l’intero futuro alla persona amata”, si legge nell’enciclica, mettendo chiaramente in evidenza che un impegno per il matrimonio fa davvero la differenza.
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RAND report: http://www.rand.org/content/dam/rand/pubs/working_papers/WR1000/WR1001/RAND_WR1001.pdf
Marriage Foundation: http://www.marriagefoundation.org.uk/Web/