Ci accingiamo a conoscere uno dei luoghi più visitati e amati di Roma: la cappella Contarelli in San Luigi dei francesi. La cappella prende il nome dal cardinale francese Matteo Contarelli che la comprò nel 1565 e decise di adornarla con opere d’arte che si riferissero al santo del quale portava il nome: l’apostolo ed evangelista Matteo.
Benché il cardinale avesse espresso con chiarezza cosa avrebbe voluto nella sua cappella, nulla si fece fino a quando nel 1585 giunse la morte. Ad occuparsi allora della realizzazione delle opere d’arte furono gli eredi, che però videro i primi risultati solo poco prima del 1600.
Ad occuparsi della realizzazione della cappella fu Caravaggio, su interessamento del potente cardinale Del Monte, suo protettore. Egli realizzò la “Vocazione di San Matteo” e poco dopo “Il martirio di San Matteo” che vennero posti rispettivamente sulla parete sinistra e su quella destra della cappella.
Sulla parete di fondo invece venne sistemata nel 1602 “L’ispirazione di San Matteo”, opera dello scultore fiammingo Jacob Cobaert, che però non piacque e venne rimossa. Oggi l’opera può essere ammirata nella chiesa della Trinità dei pellegrini. Al suo posto venne realizzata una tela da Caravaggio, che però ancora non riuscì a soddisfare i gusti dei committenti. L’opera fu acquistata da Vincenzo Giustiniani, passò poi ai Musei di Berlino e fu distrutta verso la fine della seconda guerra mondiale nell’incendio della Flakturm Friedrichshain. Infine Caravaggio realizzò l’opera che oggi ammiriamo.
Le tre tele che stiamo per conoscere possono essere definite un condensato di teologia cattolica: infatti l’autore ha espresso attraverso il linguaggio dell’arte le più alte verità della fede cattolica, messe in dubbio in quel periodo dalla rivoluzione protestante. Per parlare di queste meravigliose opere d’arte, seguiremo lo stesso metodo utilizzato per “La cena di Emmaus”: passeremo dalla descrizione al significato.
La vocazione di San Matteo
Descrizione
Nel quadro possiamo individuare due gruppi di persone: quelle sedute al tavolo e quelle in piedi. Al primo gruppo appartengono 5 persone, fra cui, in posizione centrale, San Matteo. In piedi sta invece Gesù, quasi coperto da San Pietro. I primi sono vestiti in abiti cinquecenteschi tipici dell’epoca del pittore, mentre il Signore e il principe degli apostoli sono vestiti con abiti antichi. Nella parte alta del quadro, in posizione comunque decentrata, si vede una finestra, dalla quale però non proviene luce. Il buio della scena viene squarciato dalla luce che proviene dalla parte del Cristo e che va a illuminare tutti i personaggi seduti al tavolo, compresi quelli che, in posizione curvata, continuano a contare i denari non curandosi minimamente di quello che sta accadendo. I pubblicani più vicini a Gesù lo osservano con stupore, tuttavia l’unico che sembra rispondere alla chiamata di Gesù sembra essere proprio Matteo, che con l’indice sinistro indica se stesso come se si sentisse interpellato. La mano di Pietro sembra confermare la chiamata del Cristo che avviene in modo dolce. Si noti la posizione della mano di Gesù che richiama quella del Creatore nella volta della Cappella Sistina.
Significato
Passiamo dalla descrizione al significato. Con un po’ di stupore ci accorgeremo che la tela è piena di significati, che solo grazie ad una approfondita conoscenza della teologia cattolica possiamo apprezzare in pieno. Partiamo proprio dai due gruppi; quello seduto al tavolo rappresenta la “dimensione orizzontale” umana, mentre il gruppo formato da Gesù e Pietro rappresenta la “dimensione verticale” divina: insomma, il quadro ci sta parlando del più grande dei misteri, quello dell’incontro dell’uomo col divino.
La luce proviene dalla parte di Gesù e di colui che egli ha chiamato a guidare la Chiesa e non dalla finestra, come a dire che solo dalla parte del Salvatore e della Chiesa che egli ha instituito può provenire la salvezza. Dobbiamo pensare che non è ancora passato mezzo secolo dalla rivoluzione protestante che ha spaccato l’Europa e la committenza ecclesiastica vuole ribadire l’unicità della Chiesa, anche attraverso il potente linguaggio delle immagini. Sempre in quest’ottica va vista collocazione di Pietro che è
posta fra Gesù e lo spettatore: Pietro, e con lui tutta la Chiesa, svolge un ruolo di mediazione fra il divino e l’umano, al contrario di quanto affermato da Lutero.
La luce poi illumina tutti coloro che sono seduti al tavolo. Anche qui dobbiamo vedere tradotta in immagini una delle verità più importanti dell’antropologia cristiana, quella della grazia e del libero arbitrio. La luce della grazia illumina tutti gli uomini, è Dio che fa il primo passo verso di loro, ma a questo desiderio di salvezza non tutti rispondono allo stesso modo: è il dramma della libertà incarnato dai due personaggi che stanno sull’estrema sinistra, non a caso curvati su se stessi; sono così attenti solo ed esclusivamente alle loro persone e ai loro interessi, che si autoescludono dalla salvezza portata dalla grazia di Cristo. Al contrario, Matteo si sente coinvolto dalla chiamata e risponde positivamente. Egli si sente chiamato dalla dolcezza di quella mano che non è rigida e tesa come in atto di comandare, ma con estrema delicatezza invita alla sequela e alla responsabilità
Per approfondimenti o informazioni: www.nicolarosetti.it
(Articolo tratto da Àncora Online, il settimanale della Diocesi di San Benedetto del Tronto)