Sant'Amalberga di Maubeuge: sposa, madre, vedova e monaca

Una santa leggendaria, vissuta nel VII secolo, la cui storia è qualcosa che deve esser letto

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Oggi la Chiesa festeggia sant’Amalberga di Maubeuge, conosciuta anche con il nome di Madelberga, Amalburga, Amèlia e Amalia, da non confondere con la santa martire di Tavio, vissuta nel III secolo, ma, soprattutto, con la sua omonima e contemporanea, sant’Amalberga di Temse, celebrata anche lei il 10 luglio. Sant’Amalberga di Maubeuge nacque a Saintes, nel Brabante Vallone, nell’attuale Belgio, da una famiglia di nobili origini e crebbe nelle agiatezza che si conviene ad una del suo rango.

Fu sposa di Witger, duca di Lotaringia e conte del Brabante, dalla cui unione nacquero tre figli, sant’Emeberto, che fu vescovo di Cambrai, santa Gudula, monaca badessa, proclamata patrona del Belgio e di Bruxelles, e santa Reinalda martire, che morì decapitata per mano degli Unni. Alcuni parlano di quattro figli, in quanto, nella Vita Gudilae, scritta da un monaco benedettino, tra 1048 e 1051, si racconta di una certa santa Farailde, sorella di Gudula che, come lei, venne educata nel monastero di Nivelles dalla cugina Gertrude, anche se nella Vita Pharaildis di questa parentela non se ne fa menzione.

Questa santa donna, vissuta nel VII secolo, originaria della Lotaringia e appartenente ad una famiglia al cui interno annovera, nientepopodimeno che, sante come Begga e Gertrude di Nivelles, figlie dei santi Pipino di Landen, suo fratello, ed Ida di Nivelles, che in questo solenne giorno, a lei dedicato, passa quasi inosservata, rimane a tutt’oggi uno dei più alti esempi di sposa, madre, vedova e monaca; di lei si dice fosse una donna di rara bellezza, aggraziata e dai modi raffinati e, al contempo, semplice, umile, devota e zelante verso i bisognosi, il cui stile di vita sobrio e caritatevole fu, certamente, d’esempio ai figli, ma anche al marito che, ad un certo punto della sua vita, decise di farsi monaco.

Fu proprio dopo la nascita della sua ultima figlia, Gudula, e la morte del marito, già monaco bbenedettino, che decise di consacrarsi alla vita religiosa (ricevendo il velo monastico da san Oberto), entrando nel monastero di Maubeuge, del quale divenne badessa, rimanendovi fino alla fine dei suoi giorni. Morì nel 690 e poco tempo dopo le sue spoglie vennero traslate a Binche, nell’Abbazia di Lobbes, attuale Belgio, dove tutt’ora vengono custodite.

Quello che sappiamo di lei e della sua vita lo dobbiamo ad un monaco benedettino dell’Abbazia di Lobbes che, tra il 1033 e il 1048, ne redisse la vicenda umana. Anche se questi scritti vengono considerati poco affidabili e la sua vita poco più che una leggenda, è bene ribadire che, da sempre, come nel mythos o nelle fiabe raccontate ai bambini, assieme a quelli che potremo definire elementi fantastici del racconto, sono presenti delle verità. In particolare, dalla vita di questa santa ne emerge una su tutte: quella verità che risiede in Cristo, colui che nella croce ha sovvertito qualsiasi logica e pensiero umano, “colui che morendo ha distrutto la morte” e redento il mondo. Ecco perché la storia, o se vogliamo la leggenda, di sant’Amalberga di Maubauge, come quella di molti altri santi e beati prima e dopo di lei, è “qualcosa che deve esser letto”.

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Pietro Barbini

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