Il “cuore” è l’integrità di tutte le facoltà dell’uomo, è l’uomo intero. Davanti a questa definizione i teologi occidentali a volte rimangono perplessi accusandola di irrazionalismo e sentimentalismo. Secondo Teofane il Recluso al contrario, nella preghiera sono inseriti tutti gli elementi della persona: corpo, sensi, volontà, intelletto, sentimento e, soprattutto, lo Spirito Santo. L’altro «dinamico», ossia l’unità della persona nel corso della vita. Cosa sono io? Cosa penso oggi? La preghiera è in questo senso una disposizione stabile.

Durante la preghiera, afferma Teofane, bisogna “scendere” dalla testa al cuore, perché, come spiega anche Ignazio di Loyola, «non è l’abbondanza della scienza che soddisfa l’anima, ma “sentire e gustare” interiormente le cose» [1]. La preghiera esige come condizione uno stato tranquillo del cuore, una Heychia, una pace interiore. Come fare per avere tale pace? Nell’abbandonare i pensieri che vengono dal male e turbano l’animo umano. C’è una distinzione tra «pensiero semplice» e «pensiero appassionato». Si suppone che l’uomo, la cui mente è immagine di Dio, possa pensare a tutto ciò che esiste, dio, donne, sesso ecc. Non è forse tutto ciò da Dio creato come rivelazione della sua saggezza?.   Purtroppo raramente questi pensieri rimangono «puri». Ad essi si aggiunge una tendenza viziata. All’ora l’uomo spirituale (termine già usato da Ireneo di Lione), deve conoscere l’arte del sapere “separare”, liberare il pensiero dalla passione, affinché la mente sia pura. Bisogna impiegare tutto lo zelo per acquisire la pace necessaria alla preghiera.

«I puri di cuore sono coloro che disprezzano le cose terrene e cercano le celesti non cessando mai di adorare e “vedere” il Signore Dio con cuore e animo puro» [2]. Fino d ora si è avuta attenzione al cuore in “senso negativo”, in quanto si è posto l’accento su ciò che turba lo stato di pace e di purezza del cuore. Ora si deve passare ad un altro punto di vista: l’attenzione positiva, cioè ai pensieri che non turbano, ma escono dal cuore stesso.

Per questo si distinguono i  pensieri che vengono «dal di fuori», che hanno una causa esteriore: un oggetto visto, un racconto udito, un brano letto, e i pensieri che vengono «dal di dentro», dal nostro interno. E’ lo Spirito Santo che, vivendo nel cuore, fa sentire la sua voce dentro il «castello interiore» del nostro «io». Lo Spirito Santo non è qualcosa che viene dall’esterno.

La malizia ha origine sempre dal d fuori, lo Spirito Santo, al contrario, fa parte della nostra «natura» poiché è l’anima della nostra anima. Lo Spirito Santo “parla” dentro il cuore e l’uomo lo ascolta con il cuore. E come lo ascolta? Il cuore «sente», afferra l’ispirazione divina per mezzo di una intuizione globale, alla quale partecipano tutte le facoltà umane. Le suggestioni dello Spirito non distruggono la libertà umana e sono interiori dato che siamo in «un solo spirito con il Signore» [3]. E’ proprio di Dio dare «consolazione» all’anima senza causa precedente. E’ proprio di Dio “entrare, uscire, provocare emozioni”, attirandola tutta nel suo amore [4]

Lo Spirito si fa “sentire” nel cuore e nella preghiera. Va riversato il sentimento, “l’intuizione del cuore”. S. Francesco aveva spesso tali “intuizioni”, tanto che quando camminava con gli altri, lasciava che andassero avanti per ascoltare la “voce” del Signore, mettendo una mano sul cuore. Bisogna rinunciare a tutte le immagini create e contemplare la pura luce divina. Si esegue così la preghiera in «assoluto silenzio». Importante in tale senso sono le estasi di S. Francesco. Erano così intense che spesso perdeva conoscenza e se a volte si distraeva andava a confessarsi pregava infatti in segreto, una “preghiera del silenzio”.  

Quindi per “conoscere l’uomo” concretamente bisogna considerare il suo cuore, poiché l’uomo è, in realtà, ciò che è il suo cuore.

[La seconda parte sarà pubblicata domani 29 giugno 2013]

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NOTE 

[1] Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali, 1967.

[2] Admonitiones, XVI, n. 165.

[3] Pseudo Macario, De Caritate, p. 24

[4] Thomas Spidlik, La Spiritualità dell’Oriente cristiano, p. 312-313.