Uno dei luoghi di culto più conosciuti e più venerati del capoluogo piemontese è senza dubbio la basilica di Santa Maria della Consolazione, meglio nota come “il Santuario della Consolata”, intitolato alla Vergine Maria, invocata appunto come “Consolatrice”. L’attuale conformazione della chiesa, autentico capolavoro del barocco piemontese, cela in realtà un’origine ben più remota: il primo edificio, dedicato a Sant’Andrea, sarebbe sorto, per volontà del vescovo San Massimo (+ 420 ca.), addirittura agli albori del sec. V, sulle rovine di un precedente tempio pagano. Di epoca in epoca la costruzione subì modifiche e ampliamenti, fino allo “status” definitivo. La sua fama -oltre che alla ricchezza di riferimenti storici e artistici- è legata, come si sa, ai numerosi santi torinesi che la ebbero cara: basti citare, tra gli altri, San Giuseppe Cafasso, ivi sepolto; il suo discepolo don Bosco; San Leonardo Murialdo, iniziatore dei “Giuseppini”. Il beato Allamano (1851-1926), fondatore dei Missionari della Consolata, ne fu rettore dal 1880 al 1926.
La miracolosa immagine, custodita nel Santuario, ci suggerisce qualche breve spunto di riflessione sulla “qualità” del Cuore di Maria Santissima, sempre maternamente proteso verso i suoi figli, per sostenerli e per incoraggiarli nella prova, per consolarli nelle avversità della vita.
Il Vangelo spesso ci offre l’immagine di Gesù che, mosso da compassione, interviene in favore di qualcuno. San Luca (Lc 7,11-17), a esempio, ci parla del mesto corteo funebre che accompagna, all’ultima dimora, un giovinetto, figlio di una povera vedova. Il Maestro si ferma e, con l’autorità che gli è propria, invita il ragazzo ad alzarsi, restituendolo così a sua madre.
Quante volte è capitato, anche a noi, di compatire il dolore altrui e di trattenerci, forse impacciati e disarmati, sulla soglia di quel mistero insondabile che è la sofferenza e la morte, cercando parole consolatorie, di solidarietà e di conforto. Gesù è l’unico che, “mosso a compassione”, si accosta e ridona la vita; è il solo che non si limita a compiangere il male, ma lo affronta alla radice e può offrire la soluzione radicale del problema. Sconfigge la morte, perché la Grazia è più forte del peccato, che è la vera origine di ogni umana sciagura. Gesù non si accontenta, insomma, di palliativi, di soluzioni parziali o illusorie: vuole vincere la ferita oscura dell’Uomo in profondità, restituendoci in pienezza quella Vita che la colpa originale sembrava aver compromesso per sempre.
L’esordio della seconda lettera di San Paolo ai Corinzi (2Cor 1,1-7) ripete innumerevoli volte, in un mirabile intrecciarsi e inseguirsi di lodi a Dio e di esortazioni ai credenti, i termini consolare (in greco paracaléo) e consolazione (paráclesis), quasi che l’Apostolo volesse farci gustare la bellezza e la dolcezza di quella rugiada spirituale che rinnova l’anima e ci rende realmente e finalmente figli e fratelli.
Dio consola il suo popolo, Dio consola i nostri cuori, ma non come sapremmo fare noi, limitandoci a qualche pur benevola espressione di affetto e di partecipazione alla sofferenza del nostro prossimo. Dio consola risanando con la sua Grazia, con la forza del perdono e della misericordia. La consolazione di Dio trova nelle Beatitudini il più bel riflesso, incarnato e vivo nel nostro cuore. I “tratti somatici” dello Spirito si delineano attraverso la nostra “povertà di spirito”, la nostra mitezza, la misericordia, la purezza del cuore. Dio consola perché anche noi -misteriosamente- possiamo consolare Lui, già troppo offeso dal peccato, come disse la Vergine a Fatima, nell’ottobre del 1917. In particolare il piccolo Francesco Marto -uno dei tre Pastorelli- apprese dalla Madonna e comprese pienamente questa lezione e “pretese” di consolare il Cuore di Dio, triste per i peccati del mondo: nella consapevolezza che la sua infinitamente piccola offerta poteva comunque raggiungere l’Infinito, l’Onnipotente, e confortare realmente il Signore, offeso e disprezzato dagli uomini ingrati.
Maria Santissima vive per prima la logica del Figlio: consola invitandoci alla conversione; conforta indicandoci la Grazia dei sacramenti; sostiene nella prova, ma ripetendo costantemente le parole pronunciate a Cana: fate quello che vi chiede, corrispondete all’Amore che vi è donato, gratuitamente. La vera consolazione, di cui la Vergine è maestra insuperata, è la certezza della presenza e della misericordia di Dio, unita al materno appello che sgorga dal suo Immacolato Cuore: non offendete più Dio, che è già tanto offeso.
Le Beatitudini riassumono e confermano l’opera consolatoria di Dio nei nostri confronti. Come Maria, diveniamo anche noi “consolatori” di Dio incarnando lo spirito del “Discorso della montagna” e impegnandoci a vivere -con tutti i limiti propri della nostra nativa fragilità- da “santi”.
Padre Mario Piatti icms è direttore del mensile “Maria di Fatima”